Il Manoscritto di Stephen Greenblatt

Il Manoscritto di stephen greenblatt
Il Manoscritto di Stephen Greenblatt

Il Manoscritto di Stephen Greenblatt, sottotitolo Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea è un saggio pluripremiato edito nel 2012 dalla Rizzoli.

Sapientemente scritto con il piglio narrativo di un romanzo, si sa, in America la divulgazione fa coppia con educazione delle masse, il testo racconta la storia del ritrovamento del poema De Rerum Natura del poeta e filosofo latino Lucrezio da parte del segretario papale Poggio Bracciolini fuggito da Roma dopo gli eventi che travolsero l’antipapa Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, cancellato dall’elenco dei papi per tutto quanto fatto in vita di terribile.
Nell’inverno del 1417 il Bracciolini, cercatore di manoscritti antichi, si reca in un’abbazia in Germania, a Fulda, e si imbatte nell’obliato poema lucreziano composto a metà del I secolo a. C. sulla scia della passione per Epicuro (con una sostanziale differenza tra i due e cioè che Epicuro seppe placare i suoi malesseri esistenziali, Lucrezio, nonostante il suo invito a non pensare alla morte e a considerare gli dei come superstiziosi simulacri di paure umane e quindi interessarsi solo ai piaceri della vita morì suicida a 44 anni).
Il Bracciolini si rende immediatamente conto della portata del suo ritrovamento letterario, almeno così ci riferisce il saggista, anche perché è Uno che l’invito a godersi la vita lo prende molto sul serio (ha 14 figli con le amanti e 5 con la moglie).

Chi è Stephen Greenblatt?

È docente di letteratura inglese alla Harvard University. Critico letterario e fondatore del New Historicism, corrente critica che basa la rilettura storica in prevalenza sui testi letterari, rispetto ai documenti d’archivio.

La tesi che sostiene nel suo saggio è che Poggio nel rinvenire il De Rerum Natura, riporta alla luce: un libro che avrebbe aiutato nel tempo a smantellare tutto il suo mondo.

In un società “schiacciata e oppressa” dalla paura della morte, dal terrore dell’inferno e dell’aldilà, dal mito della sofferenza, Lucrezio, secondo l’autore, non poteva avere posto. Discepolo culturale di Epicuro, il poeta latino nega l’immortalità dell’anima, invita ai piaceri della vita, all’eros che tutto consola e lenisce, e come Orazio, invita a vivere per il momento, per il piacere vista l’impossibilità dell’uomo a controllare gli eventi, anzi, essendo vittima degli stessi: solo Venere acquieta Marte.

Per questo l’opera, dice Greenblatt, fu avversata dalla Chiesa oscurantista e poco propensa a che i cristiani godessero di qualche felicità terrena in vista di una vita eterna inafferrabile. Eppure, nonostante questo, il ritrovamento fortunoso del poema avrebbe cambiato il corso della storia, una sorta di “miracolo materialista” che pose le basi della rivoluzione culturale del Rinascimento, periodo in cui gli uomini si sarebbero “liberati” dagli dei, in favore di una materialità più degna di essere presa in considerazione e in luogo di essere chiamati figli di un dio lontano e indifferente, forse inesistente, sarebbero diventati finalmente parte del cosmo, fatti della stessa materia delle stelle, non divini, dunque, ma materiali, non votati all’eterno, ma al piacere del momento da vivere nel modo più intenso possibile.

Greenblatt rintraccia la filosofia di Lucrezio nell’astronomia di Galileo e nella fisica di Newton, in Aonio Paleario e nell’immancabile Giordano Bruno, che di certo apprezzava opere in cui l’anima fosse dichiarata mortale, anzi anche meno, quasi animale. E poi ancora nelle opere di Shakespeare, di Machiavelli, di Tommaso Moro, Leopardi, Kierkegaard, Camus e persino in Thomas Jefferson, che da Lucrezio avrebbe tratto la famosa frase sulla “ricerca della felicità” impressa nella Dichiarazione di Indipendenza.

Per il saggista l’umanità attraverso questo libro si sarebbe liberata dalla superstizione del monoteismo e dalla schiavitù da angeli, demoni, bene e male.

La sua posizione non sorprende, se si considera la sua premessa, nella quale il Professore di Harwad  ammette di essere stato fortemente condizionato dalla madre ebrea che gli aveva inculcato il terrore della morte con una compulsione quasi ossessiva. Non stupisce affatto che un uomo bombardato dal terrore della fine, ponga sul trono del cambiamento culturale l’opera di Lucrezio, che quella morte semplicemente suggeriva di evitarla non pensandoci, non considerandola per non rovinarsi i piaceri della vita.

Peccato però che da Keplero a Boyle, Galileo Galilei (la famigerata frase “eppur si move” non fu mai detta da Galilei, benché il processo ci sia stato, ma non riferito alla posizione copernicana, bensì alla “fissazione” dello scienziato di usare la Bibbia come termine di paragone, cosa che l’Inquisizione gli imputò), Benedetto Castelli, Leibniz, Pascal, Volta e poi Einstein, Newton, Mendel la storia è piena di devoti cristiani e credenti e geniali scienziati che pur guardando all’aldilà hanno indagato degnamente i misteri della scienza e del cosmo e che non hanno trovato ostacolo alcuno nel “mitologico” oscurantismo ecclesiastico.

La tesi del saggio, così come si presenta, riguarda inevitabilmente la raffinata espressione di élite sociali, politiche ed economiche (oggi come anche nel ‘500) dove l’essere, l’agire, i valori e gli ideali di vita corrispondono all’esigenza di coloro che ritengono di essere, per un qualche motivo di misteriosa elezione, l’espressione della civiltà del loro tempo, cosa che comporta una rimozione di quel resto di umanità che in tale visione edonistica della vita non potrebbe proprio rientrare. Tuttavia senza questa rimozione degli “scarti” sociali, culturali, economici il messaggio del libro non regge.

Il saggio è scorrevole, ben scritto, astuto, seducente, ma alla fine fine si riduce a una riscrittura del mito umanista per cui, grazie all’eroismo di alcuni pensatori e scrittori (martiri del pensiero unico religioso), l’uomo si sarebbe liberato dai secoli di bui del dominio dell’Ecclesia. Il lettore più smaliziato non può non sospettare che Poggio Bracciolini sia una sorta di alter ego che Greenblatt usa per esempio per criticare il sistema monastico, descrivendolo similmente a un carcere punitivo, e osannare invece la cultura classica, in special modo quella romana con gli spalti del Senato che diventano emblema della democrazia e della libertà di pensiero. Per Roma classica si sa, gli americani nutrono una grande ammirazione, ignorando evidentemente che nel democraticissimo Senato romano, se uno non era d’accordo lo si faceva fuori con una trentina di coltellate.

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