Le false verità nel romanzo contemporaneo

Troppi paradisi di Walter Siti

Le false verità

Pastorale Americana di Philip Roth, Il mal di Montano di Vila-Matas, Troppi paradisi di Walter Siti, Underworld di DeLillo, Le particelle elementari di Houellebecq, Le benevole di Jonathan Littell: nel suo saggio, Il vero e il convenzionale (UTET Università, 2012) il critico Carlo Tirinanzi De Medeci affronta il romanzo contemporaneo compiendo un’attenta e sofisticata selezione di opere, per arrivare a discernere tra le due diverse strategie narrative.

Realismo e finzione

Realismo e rappresentazione convenzionale sono due modi di raccontare la realtà, due strategie legate a epoche diverse: ottocentesca e moderna la convenzione, contemporaneo il realismo che spezza – almeno in ipotesi – il legame semantico con la finzione scenica per portare nel «letterario» dei pezzi di realtà, avvalorandoli con la testimonianza, la cronaca, l’autobiografia, l’autofinzione, il reportage. Ma oggi la dialettica del vero e del convenzionale è diventata  una zona di confine non più così netta, con il successo di opere a metà tra verità e menzogna, con sempre meno consapevolezza che quanto stiamo leggendo è soltanto un’opera di finzione. Siamo ormai a una letteratura che vuole convincere i lettori di essere «verità», ma con strategie da «reality», offrendo un codice narrativo simulante, che non può essere portatore del «vero» se non in finzione, perché, come scriveva Barthes:

«Il Romanzo, in effetti, nel suo grande e lungo fluire, non può sostenere la verità: non è la sua funzione». (R. Barthes, La preparazione del romanzo, vol. I, cit., pp. 192-193).

Tuttavia oggi il finto scivola in secondo piano, quasi si volesse a tutti i costi affermare la verità assoluta della

Mi chiamo Roberta di Aldo Nove

materia romanzata (pensiamo ad esempio di libri di Saviano o alle pseudo biografie dei vip, o magari a casi letterari come il testo di Aldo Nove: Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Einaudi, Torino 2006, racconto con interviste e commenti sulla vita di lavoratori precari).

Nelle prime battute del saggio, l’autore ammette la folle grandezza di un discorso teorico sul romanzo:

«Scrivere della contemporaneità, specie se si esce dalla modalità semplicistica della recensione e si vuole progettare strutture più ampie, significa costruire sulla sabbia, a poca distanza da quel mare che forse si riprenderà il posto dove abbiamo tentato di edificare».

Il porto sicuro

Moby Dick di Herman Melville

Come dare solidità a teorie che verranno puntualmente erose da mareggiate storiche in cui scrittori, teorici, lettori stessi sono immersi? L’unica possibilità resta quella di approdare nel porto sicuro della tradizione romanzesca, evitando di perdersi nell’oceano della narrativa globale; fissare come punto di partenza quelle opere che abbiano lasciato tracce profonde – ancora visibili – nella coscienza di autori e lettori; racconti impermeabili in qualche modo alla frenesia dei cambiamenti sociali e culturali, ma efficaci, perché ne custodiscono la stessa incertezza e la medesima inquietudine: ecco il tratto umano della narrativa e, forse, la sua verità.

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