V per Vendetta: finta libertà in una prigione di stereotipi

V per Vendetta è un film del 2005, un distopico prettamente gotico, ambientato in una Londra –  perfettamente sovrapponibile alla Gotham City dei fumetti di Finger e Kane – dominata da un non meglio precisato regime totalitario che fa il verso al più classico Nazismo d’annata.

La trama racconta la storia di una giovane donna, Evey, dolce fanciulla figlia di attivisti politici e tormentata da un passato pieno di ombre e sofferenza. La giovane londinese viene  salvata da un’aggressione notturna per mano di un uomo mascherato: V.  La maschera è quella di Guy Fawkes, una rappresentazione simbolica del volto dell’attentatore più noto della Congiura delle Polveri, che tentò di far esplodere la Camera dei Lord a Londra il 5 novembre 1605; qui riproposta nella suggestiva versione dell’illustratore David Lloyd che ne ha creato una rappresentazione stilizzata con un volto bianco, un sorriso beffardo, le guance rosse, i baffi all’insù e un sottile pizzo.

Nel giro di qualche scena, in un vortice mozzafiato – e caotico – scopriamo che il misterioso  V  di Vendetta (ma avrebbe potuto essere anche Z di Zorro) ha niente poco di meno che l’intenzione di aizzare una sollevazione popolare contro la tirannia vigente e l’oppressione culturale, sociale e politica in atto, proprio il 5 novembre, anniversario della Congiura delle Polveri. Sulle prime Evey sembra accordargli fiducia, ma poi, alla prima occasione, fugge, per tornare sui suoi passi solo dopo aver scoperto di amare V che per corteggiarla e conquistarla pensa bene di rinchiuderla in un lager da cantina e dispensarle delle “amorevoli” torture psicologiche e fisiche.

Tra una scena incomprensibile e l’altra, gli sceneggiatori, i fratelli Andy e Larry Wachowski – già autori di Matrix – assommano con straordinaria maestria (bisogna ammetterlo) quasi tutti gli stereotipi a loro disposizione: il tiranno spietato, il condizionamento televisivo, i preti pedofili, gli scienziati pazzi, gli omosessuali perseguitati dalla morale comune (ovviamente non manca il bacio saffico con tanto di romantico sfondo con abbagliate disco solare al tramonto), il vendicatore  mascherato; in un dosaggio confusionario del 1984 di Orwel, di Shakespeare (citato in modo compulsivo), della Leggenda di Zorro e della Bella e la Bestia (specie nella versione serie televisiva del 1987); il tutto assemblato in modo ardimentoso in una sceneggiatura che traballa per le troppo esili logiche di coerenza interna. Quanto ai tanto decantati dialoghi, efficaci solo nelle citazioni dotte,  hanno “buchi grandi come sbadigli”, per dirla alla Billy Wilder.

A chi è piaciuto questo film? A molti, ma non a tutti. Certamente non lo ha gradito l’autore del romanzo, Alan Moore, il quale ha espressamente chiesto che il proprio nome fosse cancellato dai titoli di coda, disconoscendo del tutto la paternità della storia: una gran bella vendetta la sua.

 

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