I videogiochi possono influenzare la psiche umana perché permettono ai giocatori di interagire e sperimentare, di identificarsi con personaggi virtuali che diventano una possibile virtualizzazione
del proprio io.
Michael B. Morgan
VIDEOGIOCHI E PSICHE
I videogiochi possono influenzare la psiche umana perché permettono ai giocatori di interagire e sperimentare, di identificarsi con personaggi virtuali che diventano una possibile virtualizzazione del proprio io. La cyberpsicologia è una branca della psicologia digitale che studia l’interazione tra gli stati psicologici degli individui e i media. In particolare, esamina i modi in cui le tecnologie possono essere progettate per migliorare e integrare (ma anche sfruttare per interesse) le potenzialità e le debolezze degli individui. Un esempio di applicazione degli studi su queste interazioni è il continuo e progressivo miglioramento degli standard di “usabilità” (e dei designer UI/UX). L’usabilità è il grado in cui un prodotto può essere utilizzato dagli utenti per raggiungere obiettivi specifici con facilità, efficienza e gratificazione (la gratificazione, in particolare, riguarda i fattori psicologici dell’interazione).
“La cyberpsicologia è la psicologia del cyberspazio. Si concentra sull’intersezione tra tecnologia e comportamento umano. Questo campo spiega come gli esseri umani interagiscono tra loro in un ambiente virtuale e le potenziali complicazioni che ne possono derivare.” (What is Cyberpsychology and Why is it Important?)
LA RELAZIONE UOMO-MACCHINA
Il progressivo sviluppo del rapporto con il computer riguarda l’interfaccia, cioè l’elemento intermedio tra sistemi, cose, persone. L’interfaccia grafica (GUI) permette all’utente di interagire con il computer in modo visivo (ad esempio con le icone sul desktop) invece di utilizzare i comandi tipici di un’interfaccia a riga di comando (la classica riga di comando). Il mouse o il touch screen permettono all’utente di interagire fisicamente con i dispositivi, una manipolazione diretta e fisica che collega la psiche e il mezzo di virtualizzazione. Senza ripercorrere la storia dei videogiochi, ricordiamo una delle innovazioni più importanti con il lancio della console Wii di Nintendo nel 2006. L’importanza della Wii in termini di interazione utente-gioco sta nel fatto che questa console ha aumentato il coinvolgimento fisico rispetto a tutte le console precedenti e il suo sistema di controllo era basato su una tecnologia wireless. Grazie a un sensore di movimento, l’esperienza di gioco era più realistica e immediata allo stesso tempo, di fatto, da quel momento in poi, i giochi che consentivano all’utente di “muoversi” e riprodurre i suoi movimenti nello spazio virtuale vennero prodotti in quantità sempre maggiori.
VIDEOGAMES IMMERSIVI
I videogiochi di oggi combinano tecnologie come la realtà virtuale, la realtà aumentata, la grafica 3D e tendenze di distribuzione di massa come i servizi di streaming online e i giochi su dispositivi mobili. Molti di essi combinano survivalismo, combattimenti, un alto grado di realismo, personaggi con background altamente sviluppati che riflettono le tendenze culturali attuali, ambientazioni iperrealistiche e una narrazione veloce, favorita da trame cinematografiche. Questi sono tutti elementi che permettono ai giocatori di immergersi completamente nel mondo virtuale, che spesso è una sorta di metaverso rilassante, familiare e altamente personalizzabile, dove il tempo scorre anche quando il giocatore non è attivo e quindi è incoraggiato a non lasciare il gioco per lunghi periodi di tempo per evitare conseguenze negative sul flusso degli eventi. In breve, i videogiochi possono essere “vissuti” come una vita.
GAMIFICATION
Il concetto di gamification (utilizzato per la prima volta nei primi anni 2000 dal programmatore di videogiochi Nick Pelling) spiega come lo sviluppo di videogiochi miri a influenzare e modificare il comportamento o le abitudini degli utenti al fine di fidelizzarli, reclutarli, virtualizzarli. L’obiettivo è incoraggiare determinati comportamenti attraverso meccaniche di gioco (competizione, successo, punteggio, livelli, ricompense, virtualizzazione di emozioni/relazioni) che spingono l’utente a essere più attivo e impegnato. Inoltre, in un contesto virtuale, gli individui possono agire in modo nascosto e diverso rispetto alla realtà: uccidere, tradire, salvare il mondo, eliminare il mostro, allearsi con il mostro, ecc. E possono essere “persone diverse da quelle che sono”.
“Ovviamente, ci sono evidenti aspetti psicologici nei cambiamenti che si stanno verificando
nell’uso diffuso dei computer per sostituire ciò che prima veniva fatto faccia a faccia e in modo fisico.” [Reflections on the Psychology and Social Science of Cyberspace , Azy Barak e John Suler].
PROFONDITÀ D’IMMERSIONE
Abbiamo detto che i videogiochi possono influenzare le profondità della psiche umana perché permettono ai giocatori di interagire e sperimentare, di identificarsi con personaggi virtuali che diventano una possibile virtualizzazione del proprio io. Il grado di immersività è la capacità degli attuali sistemi virtuali di coinvolgere gli utenti attraverso la presenza di contenuti che combinano elementi reali e illusori, determinando un alto grado di coinvolgimento, paragonabile all’autoipnosi, che porta a un oblio quasi totale della realtà e del contingente. L’implicazione negativa è lampante. Tanto che, nel giugno 2018, l’OMS ha inserito la ludopatia tra le malattie psicogene. La dipendenza da videogiochi si trova oggi nell’elenco della Classificazione Internazionale delle Malattie, elenco delle malattie formalmente riconosciute come tali dalla comunità scientifica.
L’EFFETTO PROTEUS
Il “senso di presenza” nel contesto virtuale (nei videogiochi come nel mondo dei social media in generale) è stato studiato da Zahorik e Jenison nel 1998, e qui ritornano il “grado di soddisfazione” e il “rinforzo positivo”: più il giocatore è abile, maggiore è il grado di soddisfazione e quindi il coinvolgimento provato. In molti casi, questo porta a un processo cyber-psicologico che solo di recente è stato studiato con maggiore attenzione (soprattutto in relazione alla dipendenza da videogiochi, che purtroppo colpisce molti adolescenti): L’Effetto Proteo, teorizzato da Yee e Bailenson nel 2007. Il nome richiama il dio Proteo, un personaggio mitologico che cambiava forma e caratteristiche nel tempo, proprio come cambia il comportamento dei giocatori, influenzato dal loro rapporto con gli avatar che utilizzano nei videogiochi (e nel metaverso in generale).
RAPPRESENTAZIONE E COMPORTAMENTO
Gli ambienti virtuali, come i giochi online e le chat room, ci permettono sempre più spesso di modificare le nostre auto-rappresentazioni digitali in modo semplice e drastico. Ma quando cambiamo le nostre auto-rappresentazioni provochiamo un effetto anche sul nostro comportamento? Il modo in ui rappresentiamo noi stessi nel “virtuale” ci condiziona? In due studi sperimentali abbiamo esplorato l’ipotesi che il comportamento di un individuo si conformi alla sua auto-rappresentazione digitale indipendentemente da come gli altri lo percepiscono – un processo che definiamo Effetto Proteo. Nel primo studio, i partecipanti assegnati ad avatar più attraenti in ambienti virtuali immersivi sono stati più intimi con i confederati in un compito di auto-rivelazione e distanza interpersonale rispetto ai partecipanti assegnati ad avatar meno attraenti. Nel nostro secondo studio, i partecipanti a cui sono stati assegnati avatar più alti si sono comportati con maggiore sicurezza in un compito di negoziazione rispetto ai partecipanti a cui sono stati assegnati avatar che esercitavano meno influenza. [The Proteus Effect: The Effect of Transformed Self-Representation on Behavior, Nick Yee & Jeremy Bailenson, Department of Communication, Stanford University, Stanford, CA 94305].
IDENTITÀ VIRTUALE
Ma come possono gli avatar cambiare il comportamento delle persone? I videogiochi e gli ambienti online (soprattutto se anonimi) sono luoghi altri in cui la deindividuazione può avvenire molto più facilmente che nella realtà. In questi ambienti, l’avatar è l’auto-rappresentazione dell’utente, il punto di riferimento per la sua identità “altra”. Questo processo di identificazione giocatore-personaggio è stato studiato anche, ad esempio, nel mondo dei giochi di ruolo in stile Dungeon and Dragons (e in tutte le loro numerose incarnazioni e forme, troppo numerose per essere elencate qui).
Gli utenti che si deindividuano negli ambienti online e dei videogiochi possono aggrapparsi a una nuova identità derivata dal loro avatar. Psicologicamente influenzati da questa percezione di sé, finiscono per conformarsi al comportamento richiesto dalla loro “identità virtuale alternativa”. Questo è esattamente l’effetto Proteo.
PROTEGGERSI E PROTEGGERE I PIÙ GIOVANI
Nel cyberspazio le distanze si riducono e i confini si allargano perché è più facile entrare in contatto con le persone. Nel mondo fisico, le relazioni sono più difficili perché dobbiamo essere in grado di avere interazioni frequenti nonostante il ritmo frenetico della vita, trovare persone con interessi simili e superare la timidezza e l’ansia sociale. Il cyberspazio fornisce una barriera protettiva che rende le relazioni più facili. Ma comunicare in modo iperpersonale (ci si apre più facilmente online che di persona) porta a idealizzare l’altro (le lacune informative, come la mancanza di fisicità, vengono colmate dalle proprie aspettative) e all’isolamento sociale. L’effetto Proteo può condurre a forme complesse di narcisismo e scissione della personalità? La cyberpsicologia non ha ancora tutte le risposte, ma è sicuramente uno scenario in divenire. Facciamo in modo che i bambini siano sempre al sicuro.
Articolo originale: Cyberpsychology and video games: The Proteus Effect
Bibliografia originale
- Amichai-Hamburger, Y. (2005). Personality and the Internet. In Y. Amichai-Hamburger (Ed.), The social net: Human behavior in cyberspace (pp. 27–55). New York: Oxford University Press.
- Walther, J. (1996). Computer-mediated communication: Impersonal, interpersonal, and hyperpersonal interaction. Communication Research, 23(1), 3–43.
- Snyder, M., Tanke, E. D., & Berscheid, E. (1977). Social perception and interpersonal behavior: On the self-fulfilling nature of social stereotypes. Journal of Personality & Social Psychology, 35, 656–666.
- Postmes, T., & Spears, R. (2002). Behavior online: Does anonymous computer
communication reduce gender inequality? Personality & Social Psychology Bulletin, 28, 1073–1083. - Parks, M. R., & Floyd, K. (1996). Making friends in cyberspace. Journal of Communication, 46, 80–96.
- Kraut, R., Lundmark, V., Patterson, M., Kiesler, S., Mukopadhyay, T., & Scherlis, W. (1998). Internet paradox: A social technology that reduces social involvement and psychological well-being? American Psychologist, 53, 1017–1031.
- Wallace, P. (1999). The psychology of the Internet. New York: Cambridge University Press.
- Young, K. (1998). Caught in the net. New York: Wiley.
- John Suler, The Psychology of Avatars and Graphical Space in Multimedia Chat Communities or: How I Learned to Stop Worrying and Love My Palace Props.
- Jason Whittaker, The Cyberspace handbook, Routledge, London and New York, 2004.