Scritti osceni e pratiche (in)nominabili

Wes Craven
Wes Craven

Per intellettuali del calibro di Wesley Earl “Wes” Craven (1939-2015) regista e sceneggiatore statunitense, autore tra gli altri di pellicole horror ormai cult come Nightmare. Dal profondo della notte (1984), Il serpente e l’arcobaleno (1988), o anche la serie slasher nota con il titolo di Scream (1996) ispirata ai terribili omicidi del killer seriale Daniel Harold Rolling (1954-2006), il retaggio dell’educazione puritana e la voglia di ribellione agli schemi sociali considerati normali sono il motivo predominante della produzione cinematografica orrifica.

La scuola craveniana

Nightmare

La descrizione violentissima e brutale di atti innominabili che si inanellano nel susseguirsi di pratiche al limite del sopportabile, in scene furibonde, polverizzanti, ambigue e sublimate dall’inspiegabile è marchio di predilizione. Craven era americano, ma lo sviluppo sempre più intenso e primordiale del cosiddetto genere “horror” ha riguardato, dagli anni Settanta a oggi, anche l’oriente, dai Pang Brothers a Hideo Nakata, da Ahn Byung-Ki a Joon-ho Bong, o l’Europa con Alexandre Aja, Jaume Balaguerò, Andres Muschietti, Fede Alvarez.

I film horror di scuola craveniana sono diventati negli anni un immenso laboratorio «incentrato sulla paura e sulle sue derivazioni» sfruttando contesti culturali differenti e attingendo massicciamente agli ambiti psicoanalitici. Al centro di questi scenari, a volte indecifrabili, con il tempo si è imposta sempre più di frequente l’immagine di una “famiglia” devastata, sventrata dei suoi significati più profondi, manipolata, disunita, massacrata dalla presenza di omicidi, psicopatie, perversioni e turpitudini spesso legate a una abissale – e rovesciata – percezione del sacro, che diviene elemento caratterizzante del desiderio di ritualità omicida.

Nell’insieme, lo spettatore si trova spesso di fronte a una carrellata di atrocità e brutalità – talvolta volutamente insostenibili – che lasciano traccia di una conflittualità cercata con politica (l’horror craveniano è spesso anarchico), scienza (inspiegabilità dell’evento) e, soprattutto, religione (il rovesciamento dei valori religiosi e il Lucifero dio razionale); politica, scienza e religione tradizionale sono, a conti fatti, i poteri forti cui ribellarsi.

Horror e hard-core a braccetto

Ma gli anni Settanta americani non vedono solo l’incentivarsi del genere horror. L’hard-core (il genere pornografico) segue di pari passo, e registra in questo periodo un successo crescente, conta su un consolidatissimo star system ed esporta senza temere crisi. Sull’onda della “Rivoluzione culturale” ormai non ci sono più tabù che non possano essere abbattuti, l’incesto e la religione in primis: non c’è nulla di implicito che non possa diventare esplicito. È l’epoca del white coater, il porno didattico in cui «camici bianchi si professano medici o scienziati per fare da cornice dotta ad accoppiamenti in totale libertà. Uno di questi è The art of Marriage (1970)».

Ebbene, sia Craven che altri, prima di essere delle star indiscusse dell’horror movie, iniziano la loro carriera bazzicando nell’ambiente della pornografia più o meno spinta. I temi espressi in queste pellicole hard-core non sono molto diversi da quelli assemblati per le successive produzioni horror: la frantumazione eversiva delle interdizioni inviolabili, l’esaltazione della vitalità primordiale, la ribellione ai valori tradizionali. Nel film Angela is the Fireworks Woman (1975) Craven immerge lo spettatore nel magnetismo sessuale animalesco, nell’istinto incestuoso – e nella sua concreta messa in pratica –, nella perdizione delle anime religiosamente pie e, soprattutto, lo pone di fronte «all’uomo con il cilindro» una sorta di figura onnipresente che delinea «il Lucifero salvifico e razionale», colui che orchestra le orge mefistofeliche in un’atmosfera woodstockiana «ed è infine in lui che si dissolve, mentre assolve, la figura benedicente del sacerdote» fratello e amante della protagonista, Angela.

Da “rivoluzione culturale” a genere di consumo

Pornografia e horror si intrecciano, dunque, e procedono sistematicamente, invincibili, diventando genere di consumo, un «divertimento senza alcun controllo». La violenza spietata e la spudoratezza infrenabile soppiantano del tutto altre visioni, diventano onnipresenti, assurgono a valori condivisibili, e persino augurabili, non solo nella produzione cinematografica, ma anche nelle SerieTV, nell’editoria (chi non ricorda il caso editoriale rappresentato dalla fortunata serie di E. L. James, al secolo Erika Leonard, Fifty Shades, nota inItalia con il titolo di Cinquanta sfumature), nella TV Verità, nel Talk Show, nelle pubblicità…

Paura
Dipendenze sommerse

Oggi immagini di violenza incontrollata e pornografia sono accessibili a tutti e a qualsiasi età: basta un click. In un saggio del 2010, la psicologa Pamela Paul riporta le cifre della pornografia nel mondo e i numeri sono spaventosi: ogni anno gli americani spendono più di quattro miliardi di dollari per procurarsi materiale pornografico, il 66% dei giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni visita siti pornografici e un utente su quattro, fra coloro che navigano in Rete, visita mensilmente un sito porno. Inutile dire che il mercato che a oggi cresce più rapidamente è quello della pedopornografia – che spesso unisce perversioni al confine con l’horror e istinti sessuali deviati – e i calcoli sono fatti sottostimando le cifre sommerse. Qual è il confine tra libertà e dipendenza? Christa Meves, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ha messo più volte in guardia dalla deriva psicologica cui conduce l’incoraggiamento verso comportamenti che siano guidati solo dall’istinto, poiché «questi possono facilmente deragliare e trasformarsi in comportamenti nevrotici e patologici, fino ad arrivare alla dipendenza».

Una diagnosi da non diagnosticare?

E dipendenza significa perdita della libertà. Lo conferma anche Victor Cline, psicologo, che avendo curato decine di sesso-dipedenti, criminali sessuali e vittime di abuso sessuale ha potuto mettere in relazione il consumo di pornografia con le ossessioni e crimini sessuali, arrivando alla conclusione che «chi inizia a fare uso precoce di pornografia, generalmente non sa che la visione di immagini pornografiche può portare rapidamente a una dipendenza clinica» e a una deriva violenta. Gli adulti ne sono raramente consapevoli, meno che meno lo sono i bambini o gli adolescenti.

Ma sebbene riconosciute in ambito clinico, grazie alla diretta esperienza dei medici, le dipendenze e le nevrosi generate dal «consumo eccessivo» di violenza e pornografia non hanno alcun riconoscimento diagnostico, poiché quest’ultimo passaggio è, a tutt’oggi, più che mai avversato dalla cultura dominante. Oggi non esistono quasi più l’innominabile o l’impraticabile.

Bibliografia

  • Roberto Pugliese, Wes Craven. L’artigianato della paura, Lindau, 2014.
  • Fredric Jameson, Firme del visibile, Donzelli Editore, 1992.
  • Victor B. Cline, Pornograhy’s Effects on Adults and Children, 2002.
  • Christa Meves, Wohin? Auf der Suche nach Zukunft, Gerhard Hess Verlag, Bad Schussenried, 2011.
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