La storia insegna che nel momento in cui le forze morali, impalcatura di una società, hanno perduto la loro efficacia, la finale dissoluzione è effettuata da quelle moltitudini incoscienti e brutali giustamente qualificate barbariche. […] La loro dominazione rappresenta sempre una fase di disordine. (Gustave Le Bon)
Gustave Le Bon (1841-1931), antropologo, psicologo e sociologo francese, affermò nel suo famosissimo saggio Psychologie des foules (La psicologia delle folle, 1895) che l’azione inconscia delle folle, sostituendosi all’attività cosciente degli individui, rappresenta una delle caratteristiche dei nostri tempi. E controllare la massa fa parte della gestione del potere.
Controllo delle folle e potere
Napoleone Bonaparte (1979-1821) era padrone assoluto della psicologia delle folle francesi – che di fatto dominava – ma conosceva meno quella degli italiani o degli spagnoli, men che meno quella degli inglesi, scarsa comprensione che gli fu letale nell’impresa delle sue campagne militari.
Chi governa sa che le folle sono una risorsa e che non deve lasciarsi governare da esse. Le Bon ipotizzò, con una buona dose di certezza psicoanalitica, che le folle sono «incapaci d’avere qualsiasi opinione al di fuori di quelle che sono loro suggerite» e che l’andamento della massa umana è orientato dalle impressioni, più spesso dalla paura o dalla rabbia.
La percezione del “giusto”
Per questo, l’equanimità, la democrazia, la giustizia sociale non sarebbero il criterio reale di valutazione, non quanto lo è la percezione degli stessi. Se un legislatore intendesse stabilire una nuova imposta dovrebbe scegliere la più gusta? Non è necessario, egli potrà sempre scegliere quel che gli serve, perché quel che conta è la percezione che ne ha la folla; è la percezione del giusto che indocilisce gli individui uniti nella massa; è la sensazione della verità ciò che basta a soddisfarne il desiderio. Tuttavia se una questione, benché giusta, dovesse turbare le abitudini e il pensiero dominante, suscitando apprensione, allora si solleverebbero unanimi proteste. Non conterebbe affatto il reale valore della legge, bensì il suo effetto, la possibilità di giustificarne l’esistenza adeguatamente, in modo emotivo più che per logica.
Napoleone Bonaparte lo sapeva, sapeva che gli uomini «non si guidano con le prescrizioni della pura ragione», ma con le impressioni e i sentimenti. E se una civiltà ben strutturata richiede regole fisse, disciplina, passaggio dall’istinto alla ragione (intesa come capacità di interpretazione della realtà e non come passiva subordinazione alle idee comuni), quando «l’edificio di una civiltà è infestato da vermi» che lo corrompono come fosse un cadavere, allora le folle si rivelano nella loro potente funzione: la dissoluzione.
La folla psicologica
Nella folla, intesa non come riunione di individui bensì nel senso psicologico, la personalità cosciente scompare, l’individualità si agglomera intorno a un’anima collettiva, sottomessa «all’unità mentale delle folle». Non si tratta di persone radunate in una piazza, ma di un essere unico, in cui la persona smette di esistere, per diventare folla. E la folla è insieme psicologico orientato in un’unica direzione, con un unico sentimento, una sola ragione. Per questo nella folla «le abitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano», il conscio si annulla e l’inconscio domina, portando coloro che ne sono coinvolti a fare quel che li fa sentire nel giusto dietro l’anonima parvenza di una civiltà reale.
Bibliografia
- Gustave Le Bon, La psicologia delle folle, 1895.
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Edward Bernays, Propaganda. Comunicazione sociale e politica, 1928.