Divenuto erede al trono in seguito alla morte di Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914, Carlo D’Asburgo fu incoronato imperatore alla morte di Francesco Giuseppe nel 1916. In seguito alla sconfitta dell’Austria-Ungheria nella Prima Guerra Mondiale andò in esilio nell’isola portoghese di Madeira dove morì all’età di soli 34 anni. Negli ultimi giorni di vita chiamò a sé il figlio primogenito Otto perché volle che costui vedesse «come muore un imperatore». Il 3 ottobre 2004 è stato beatificato. lo scrittore inglese Herbert Vivian (1865-1940), che lo aveva conosciuto scrisse del Beato Carlo D’Aburgo: «Carlo era un grande capo, un principe della pace, che voleva risparmiare al mondo un anno di guerra; un uomo di Stato con idee salvatrici per i complicati problemi dei suoi paesi; un monarca che amava i popoli, un uomo senza paura, d’animo nobile, di prestigio, un santo, dalla cui tomba si diffonde benedizione».
A 82 anni dalla morte, la Chiesa gli ha reso giustizia. Lo ha elevato alla gloria degli altari, indicandolo al popolo di Dio come esempio  di vero cristiano. Per alcuni storici resta una figura discussa da un punto di vista politico. Gli rimproverano ingenuità politiche ed errori di governo. Ma non ci sono punti oscuri sulla sua figura morale. L’avvocato Andrea Ambrosi, postulatore della causa del beato Carlo d’Austria, ha più volte ribadito: «Studiando la vita del beato, leggendo le migliaia di pagine di testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto e che hanno esposto le loro impressioni sotto giuramento,  mi sono reso conto che Carlo d’Austria è un grande santo e fu un governante saggio e illuminato» (La biografia del Beato Carlo D’Asburgo, Sito ufficiale della Gebetsliga in Italia – Unione di Preghiera Beato Carlo per la Pace e la Fratellanza tra i Popoli, 3 agosto 2015).

MEMORIE STORICHE

Nell’anno del centenario dalla morte, assume un particolare rilievo la memoria liturgica del beato Carlo d’Asburgo (1887-1922), ultimo imperatore d’Austria, che la Chiesa celebra il 21 ottobre, data delle nozze con Zita di Borbone-Parma (1892-1989). La devozione al santo imperatore è tuttora diffusa nel mondo attraverso la Gebetsliga, la Lega di preghiera nata quando Carlo era ancora bambino, su consiglio di una mistica ungherese, madre Vincenzina: «La gente deve pregare molto per il piccolo arciduca, perché un giorno egli diventerà imperatore; dovrà soffrire molto e sarà un bersaglio speciale da parte dell’inferno».
Salito al trono dopo il lungo regno del prozio Francesco Giuseppe, Carlo si distinse come uomo di pace nel drammatico frangente della Prima Guerra Mondiale, cercando di raccogliere – unico tra i governanti europei – l’appello di Benedetto XV a fermare «l’inutile strage».
Beatificandolo nel 2004 Giovanni Paolo II ricordò che in ogni circostanza, politica e familiare, l’imperatore si impegnava a «cercare in tutto la volontà di Dio, riconoscerla e seguirla» e «concepì la sua carica come servizio santo ai suoi popoli»: una vocazione sacra su cui non poteva “negoziare”, diventando sgradito al nuovo governo repubblicano che ne decretò l’esilio sull’isola di Madeira, dove morì di stenti a soli 35 anni il 1° aprile 1922, lasciando la giovane moglie Zita e otto figli piccoli. Una figura che non perde di attualità come modello politico e familiare, e incarna per l’Europa odierna un messaggio di riconciliazione tra i popoli e con le proprie radici cristiane, come racconta a La Nuova Bussola Quotidiana S.A.I.R. l’arciduca Martino d’Austria-Este, nipote del beato.

Altezza, partiamo da Madeira: è ancora radicata la devozione al beato Carlo a un secolo dalla morte?

Il pellegrinaggio per il centenario, il 1° aprile a Madeira, proprio sulla tomba del beato Carlo, è stato molto sentito non solo in famiglia, ma anche dalla popolazione locale che nutre grande venerazione per il nonno. La tomba è sempre fiorita, c’è sempre gente che viene a pregare, il vescovo ha celebrato la Messa pontificale… si vede che il beato Carlo è amato a Madeira.

Dunque, c’è una memoria viva, non solo una tomba…

No, assolutamente, al contrario. Dall’aeroporto ho preso un taxi e il tassista mi ha chiesto da dove venivo, cosa facevo, eccetera, e quando ho detto che sono austriaco mi ha risposto: «Ah, ma ci sono tanti suoi connazionali che vengono per il beato Carlo!». Anche la popolazione partecipa e hanno organizzato un anno interamente dedicato a lui.

Ora noi lo vediamo sugli altari, ma per voi nipoti qual era il rapporto con questa figura del nonno, che avete conosciuto indirettamente ma tramite la testimonianza privilegiata dell’imperatrice Zita?

Quando eravamo piccoli non ne parlavamo tanto, forse per pudore, ma anche per una certa discrezione perché già tutto il processo era in essere. Soltanto dopo, quando eravamo più grandicelli, diciamo verso i 12 anni, ce ne hanno parlato di più, ma per noi era il nonno, non “il beato”. Poi abbiamo conosciuto la Liga e partecipato alle riunioni, sia organizzative sia di preghiera, ma molto più tardi.

Tra il beato Carlo e san Giovanni Paolo II c’è un intreccio persino nelle date della morte (rispettivamente 1° e 2 aprile) e ora della memoria liturgica (21 e 22 ottobre). Non è provvidenziale che sia stato beatificato da lui, che si chiamava Karol proprio per l’ammirazione che il padre del futuro Papa nutriva per il giovane sovrano?

Guardi, ho avuto esattamente la stessa impressione, identica: l’ultimo dei cinque beati proclamati quel giorno è stato proprio lui, e parlandone poco dopo noi cugini abbiamo avuto tutti l’impressione che si chiudesse un cerchio.

In precedenza, Giovanni Paolo II aveva ricevuto più di una volta la famiglia Asburgo…

Io ero presente a una di queste udienze ed è stata per noi molto emozionante. Era la messa del mattino, abbastanza presto, e dovevamo cantare. Dopo lui ci ha ricevuto, ci ha salutato tutti, e all’uscita, vedendo me, che sono un po’ più alto della media, mi ha chiesto: «Come va, com’è l’aria lassù?». Con lui ci siamo sentiti veramente in famiglia.

Gli Asburgo hanno fatto la storia d’Europa ma ora hanno l’onore e l’onere di veicolare quei valori umani e cristiani incarnati dal beato Carlo: si può affermare, in qualche modo, che suo nonno vi abbia trasmesso una “vocazione” di famiglia?

Assolutamente, e lo dobbiamo alla nonna, che ha continuato a trasmetterci quei valori, ai nostri genitori, agli zii e alle zie e così via, che hanno sempre tenuto alti quei principi, l’attaccamento alla Chiesa e alla fede. La nonna ci ha trasmesso tutto questo con il suo esempio, lei che ha vissuto cose enormi sul piano storico, ed era sempre discreta, sempre umile. Uno dei frutti consiste anche nelle vocazioni sacerdotali: per tre secoli non ce ne sono state in famiglia e adesso abbiamo dei cugini sacerdoti, tra cui il figlio di un mio cugino che ha fatto una testimonianza anche durante le celebrazioni del centenario. È una ricaduta delle grazie che abbiamo ricevuto dal beato Carlo e attraverso il suo esempio.

Leggi articolo integrale su La Nuova Bussola Quotidiana:

INTERVISTA / MARTINO D’AUSTRIA-ESTE Il beato Carlo d’Asburgo: la politica come “servizio santo” ai popoli

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