“Non può essere negato che il prezzo delle malattie genetiche sia alto, in termini di sofferenza per l’individuo e di oneri per la società. Senza menzionare quel che sopportano i genitori! Se questi individui potessero essere eliminati precocemente, il risparmio sarebbe enorme! Ma noi possiamo assegnare un valore a quel prezzo: è esattamente quello che una società deve pagare per rimanere pienamente umana”.
Jérôme Lejeune (1926-1994) non ha mai considerato la possibilità che la vita non fosse sacra. Egli è un medico, con un concetto molto alto della medicina, intesa come una missione che va al di là della semplice cura: «La compassione per i genitori è un sentimento che ogni medico dovrebbe avere. L’uomo che riesce ad annunciare a dei genitori che il loro bambino è gravemente malato, senza sentire il cuore schiantarsi al pensiero del dolore che li assalirà, non è degno del suo mestiere. Non è commettendo un crimine che si protegge qualcuno da una disgrazia. E uccidere un bambino è semplicemente omicidio. Non si dà sollievo al dolore di un essere umano uccidendone un altro. Quando la medicina perde tale consapevolezza, non è più medicina» (Cantagalli, 2008). Posizioni più volte ribadite che guadagnarono al genetista francese la possibilità di di ricoprire il ruolo di primo presidente della Pontificia Accademia della Vita, voluta da San Giovanni Paolo II.
LA FORZA DI UN MESSAGGIO
Fra scienza e fede
La forza del messaggio decisamente pro vita di Jérôme Lejeune sta prima di tutto nel suo approccio scientifico alla questione. Laureatosi in medicina nel 1951, già nel 1958 trova l’anomalia genetica (trisomia del cromosoma 21) che causa la sindrome di Down, malattia genetica responsabile di deficit intellettivo e anomalie fisiche, e non poche stigmatizzazioni sociali e culturali. È grazie a Lejeune che viene infine stabilito un legame tra uno stato di disabilità mentale e un’aberrazione cromosomica. Tuttavia, «I suoi risultati scientifici vanno oltre questa scoperta fondamentale, rivelando i meccanismi di diversi disordini cromosomici e aprendo in tal senso la strada della moderna citogenetica clinica» (Roger Panteri, Documentazione interdisciplinare di Scienza&Fede). Lejeune si rende ben presto conto che la prevenzione è centrale per salvare più vite umane possibili, evitando un dolore ai nascituri e ai genitori. Per questo, è il primo a promuovere l’uso dell’acido folico come prevenzione della spina bifida, una rara malformazione della colonna vertebrale che colpisce il bambino nella pancia della madre.
UNA LOTTA CONTRO IL RAZZISMO EUGENETICO
I riconoscimenti
Negli anni è consulente delle Nazioni Unite come esperto sulle radiazioni atomiche; professore di Genetica Fondamentale all’Università di Parigi (1964); direttore del servizio di genetica dell’Hôpital des Enfantes Malades di Parigi (1965); membro dell’Accademia Pontificia delle Scienze (1974). Riceve innumerevoli riconoscimenti per le sue ricerche sulle patologie cromosomiche: il premio Kennedy nel 1962, il William Allen Memorial Award nel 1963, e il premio Griffuel nel 1993, benché la sua vocazione principale, chiaramente espressa anche nei trattati e nei testi, sia quella di medico e non quella di ricercatore. Il rapporto con i malati è per lui la cosa più importante: compassione e cura si intrecciano in un dialogo costante nella pratica della medicina. Lo stesso punto di partenza della sua ricerca sulla Sindrome di Down, pur scientifico, è volto a dare un approccio e un significato profondamente diverso della malattia, perché Lejeune ritiene che la teoria del professor Down sia scientificamente improvvisata ed essenzialmente razzista. Razzista, perché tesa e collegare il cosiddetto «mongolismo», che per Down manifestava precisi «tratti razziali», a una tara di tipo «razziale», legata alla qualità del «messaggio ereditario» o magari a comportamenti parentali, come alcolismo o sifilide.
LE SCOPERTE ALLA LUCE DELLA FEDE
Posizioni scomode
Per il genetista francese «L’intelligenza umana è la rappresentazione superiore della materia animata ed è evidente che per l’intelligenza umana, deve essere tutta l’orchestra a suonare bene nello stesso momento e non un solo gene adibito a creare un dito o un orecchio. Tutta la difficoltà della ricerca è come scoprire il musicista discorde, perché l’orchestra della vita ha circa cinquantamila musicisti», la genetica, dunque, come ricerca di un equilibrio speculare a quello posto da Dio a fondamento del creato.
Con la sua ricerca, Lejeune afferma, e conferma, che la causa delle malattie genetiche, come la Sindrome di Down, è definita da «una mutazione di ordine quantitativo» e non «qualitativo», ovvero da un eccedere o da un difettare del codice genetico che turba l’equilibrio dell’insieme, ma non per questo lo detronizza dal suo valore di sacralità assoluta: la vita è sacra, sempre. Non si tratta, quindi, di qualità della razza, o di esseri inferiori o tanto meno frutto di genitori disdicevoli, nessuna problematica degenerazione razziale da correggere con l’eliminazione dei bambini malati. Sono punti sui quali egli si vede costretto a tornare quando si rende conto che i suoi studi vengono strumentalizzati dagli abortisti, con la proposta di Legge Peyret (1970) che introduce il dibattito, piuttosto acceso, sull’opportunità di eliminare i bambini portatori di malformazioni genetiche e di introdurre l’indagine prenatale per «eliminare i feti malati e imperfetti».
Da fervente cattolico e convinto del sacro valore della vita, Lejeune si oppone immediatamente con tutte le sue forze a tale uso delle sue ricerche, scelta che gli costa il Premio Nobel per la Medicina, come scrive egli stesso alla moglie Birthe Bringsted, e la messa al bando della Comunità Scientifica Internazionale. La «scienza ufficiale» non lo chiama più in causa, i finanziamenti per le sue ricerche vengono ritirati, continuare i suoi studi diviene quasi impossibile, anche per le minacce che raggiungono lui e la sua famiglia. Eppure, il medico non retrocede e continua a farsi portavoce di quello che per lui è il significato profondo delle genetica moderna: «[…] All’inizio è dato un messaggio, questo messaggio è nella vita, questo messaggio è la vita […] Se, Dio non voglia, la Chiesa arrivasse ad ammettere l’aborto, allora io non sarei più cattolico».
UNA LOTTA LUNGA UNA VITA
Servo di Dio nella scienza
Lejeune, padre di cinque figli, non smette mai di opporsi a quella che egli stesso definisce «cultura di morte», volta alla «selezione della specie»; la Ru486 (pillola abortiva) è per lui «il primo pesticida umano», e ancora «la contraccezione, che è fare l’amore senza fare il figlio, la fecondazione extracorporea, che è fare il figlio senza fare l’amore, la pornografia, che è distruggere l’amore, l’aborto, che è distruggere il figlio, tutte cose contrarie alla dignità dell’amore umano».
A un passo dalla morte scrive quello che è considerato una sorta di intenso presagio, oltre che un invito a non arrendersi alla cultura della morte: «Voi che siete a favore della famiglia sarete presi in giro, si dirà che siete fuori moda, si dirà che impedite il progresso scientifico, si dirà che cercate di mettere il bavaglio alla scienza attraverso una morale superata. Ebbene, vorrei dire proprio a voi di non aver paura: voi trasmettete le parole della vita».
Bibliografia
- Clara Lejeune, La vita è una sfida, Cantagalli, 2008.
- Ignacio Del Villar Fernández, Ciencia y fe católica: de Galileo a Lejeune: El testimonio de cinco sabios: Galileo Galilei, Maria Gaetana Agnesi, Alessandro Volta, Louis Pasteur y Jérôme Lejeune, BibliotecaOnline, 2017.
- Jérôme Lejeune, Il messaggio della vita, Cantagalli, 2002.
- Giulia Tanel, A Dio, Birthe. A 92 anni, è morta la moglie del genetista Jérôme Lejeune, Il Timone.
- Lejeune: «Tutti si leveranno contro di voi, che difendete la vita e la famiglia. Non abbiate paura!», marzo 2016, il Timone.
- Vicente Soriano, Jérôme Lejeune passed away 25 years ago, 2019.
- Filippo Peschiera, Jérôme Lejeune. L’uomo e lo scienziato, Scienza&Storia, IlSussidiario.net, 20 marzo, 2012.