Venerdì 24 giugno 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha stabilito, in riferimento alla sentenza “Roe vs Wade” del 1973, che «La Costituzione non conferisce alcuno diritto all’aborto». La sentenza nota come Roe VS Wade, oggi di nuovo al centro di polemiche, girò intorno al caso di Norma McCorvey (nata nel 1947 e morta nel 2017, protetta all’epoca con l’anonimo Jane Roe), una giovane donna bisessuale, alcolizzata e tossicodipendente impiegata come cameriera in un bar. Nel 1969, rimasta incinta per la terza volta nella sua complessa vita di violenze e abbandoni, raccontò di essere stata vittima di uno stupro di gruppo, e con questa motivazione si rivolse, nel 1971, al Tribunale di Dallas chiedendo di poter abortire, a fronte della violenza subita. Così nacque la famosa causa “Roe contro Wade”, che si concluse con quella che ancora oggi rimane la più controversa sentenza mai pronunciata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, e che aprì alla legalizzazione dell’aborto. In realtà Norma non abortì mai, pur avendo ottenuto il consenso, ma su deciso consiglio del suo avvocato, la femminista più che convinta Sarah Weddington (prima nella Camera dei deputati del Texas con i Democratici, poi nella Casa Bianca di Jimmy Carter come consigliere speciale del presidente e infine come docente universitario alla Texas Woman’s University di Denton e all’Univeristà del Texas di Austin), dichiarò di aver interrotto la gravidanza, scelta utile a poter poi creare il precedente utile alla politica pro choice. Tutto si compì il 22 gennaio 1973, quando il massimo tribunale degli Stati Uniti, a cui di per sé compete solo la vigilanza sulla costituzionalità delle leggi varate dal Congresso federale, legiferò di testa propria emettendo la sentenza-macigno che chiuse il caso “Roe v. Wade” (al processo del 1970 Henry Menasco Wade [1914-2001] rappresentò lo Stato del Texas). In un colpo solo, furono cioè cancellate tutte le leggi a tutela della vita umana nascente esistenti nei diversi Stati dell’Unione e certe clausole antiabortiste federali stabilendo che l’attività sessuale e i suoi frutti sono parte di un diritto alla privacy che la Costituzione statunitense garantirebbe. Infine, Norma raccontò la verità nell’autobiografia (scritta con Andy Meisler) I Am Roe: My Life, “Roe v. Wade”, and Freedom of Choice (1994); nel 1995 si convertì al protestantesimo e nel 1998 si fece battezzare come cattolica, abbandonando il mondo lesbico e concludendo la sua vita come attivista pro life (Da: Marco Respinti, Una preghiera per Norma McCovery, Alleanza Cattolica, 2017).

NESSUN DIRITTO COSTITUZIONALE

L’aborto non è cancellato, ma la Costituzione americana non conferisce il diritto di farvi ricorso. Attualmente negli Stati Uniti, su 50 Stati ben 26 (tra cui Texas e Oklahoma) hanno leggi più restrittive in materia. Ben 9 hanno dei limiti sull’aborto che precedono la sentenza “Roe vs Wade”, e che non sono ancora stati applicati ma che ora potrebbero diventare effettivi, mentre 13 hanno dei cosiddetti divieti dormienti che dovrebbero entrare immediatamente in vigore dopo il via libera della Corte Suprema: «L’intenzione della Corte è quella di riportare questa decisione all’interno del procedimento democratico, evitando che sia una sentenza a decidere su un tema così importante e fondante della società: dove inizia la vita. Secondo la Corte quindi sono i rappresentanti eletti, nella mediazione politica, a dover decidere su questo tema» (La Corte Suprema americana cancella la sentenza che aprì all’aborto negli USA, Lucandrea Massaro). Proprio alla luce di questo ragionamento, la nuova sentenza potrebbe aprire ad una messa in discussione anche di altri “diritti” acquisiti non per via legislativa bensì giudiziaria.

LA VICENDA

Cosa direbbe oggi la protagonista di quella sentenza? Nota a tutti come Jane Roe, Norma McCorvey, morta a 69 anni nel febbraio 2017, dopo aver aperto la strada alla legalizzazione dell’aborto si era convertita e battezzata nel 1995, dedicando gli ultimi 27 anni della sua vita a cercare di sovvertire quella sentenza. McCorvey aveva avuto un’infanzia complessa, abbandonando la scuola in prima superiore e finendo in un riformatorio dopo che una cameriera di un motel l’aveva sorpresa a baciarsi con un’altra ragazza: all’epoca, pur avendo relazioni sia con uomini che con donne, Norma si era dichiarata lesbica. La prima figlia era nata nel 1965 e a seguito di quella nascita, la McCorvey iniziò a lottare contro la dipendenza da droghe e alcol, dando la figlia in custodia alla propria madre. Nel 1967 diede alla luce un secondo figlio, che lasciò in adozione. Durante la terza gravidanza decise di abortire, ma le leggi del Texas, dove era nata, consentivano l’aborto solo se il bambino era malato o poteva causare problemi alla di salute alla madre: «A differenza di donne più ricche e dotate di maggiori risorse, non aveva i mezzi per recarsi in uno dei pochi Stati in cui avrebbe potuto abortire legalmente, e non poteva permettersi di pagarne uno illegalmente» (Erin Blakemore per il National Geographic).

IL CASO PERFETTO

Non avendo alternative, la giovane McCorvey si rivolse agli avvocati di Dallas Sarah Weddington e Linda Coffee, che erano alla ricerca del querelante perfetto per il loro tentativo di contestare le leggi sull’aborto del Texas. Quale caso migliore da offrire in pasto all’opinione pubblica per cambiare lo stato di cose vigente e la percezione che la gente, soprattutto le donne, avevano dell’interruzione di gravidanza? Nel 1970, quando McCorvey era incinta di cinque mesi, firmò una dichiarazione giurata che in seguito affermò di non aver mai letto. Secondo le parole di Robert D. McFadden, del New York Times, «Voleva solo un aborto veloce e non aveva la minima idea che il caso sarebbe diventato una causa di successo». I suoi avvocati presentarono il caso presso il tribunale federale di Dallas il 3 marzo 1970. Denominata Roe v. Wade, la causa trasformò McCorvey in Jane Roe; la seconda metà del nome si riferiva all’imputato, Henry Wade, il procuratore distrettuale incaricato di far rispettare le leggi sull’aborto del Texas. Coffee e Weddington sostenevano che le leggi sull’aborto del Texas violavano il diritto costituzionale alla privacy delle donne, il tribunale distrettuale diede ragione alla coppia, ma respinse la loro richiesta di interrompere l’applicazione delle vecchie leggi sull’aborto dello Stato, inducendo sia Wade che il team di McCorvey ad appellarsi alla Corte Suprema. La Weddington, allora appena 26enne, presentò le sue argomentazioni orali alla Corte Suprema, composta da soli uomini, il 13 dicembre 1971. A quel punto, osserva Joshua Prager per l’Atlantic, lei e Coffee avevano trasformato Roe in una causa collettiva che dimostrava «il diritto costituzionale di tutti gli americani» di determinare il percorso della propria vita e la McCorvey in un’icona simbolo del femminismo lesbico pro-choice.

DUE DONNE IN UNA

Dopo la sentenza la sua vita è diventata un bagno di folla: raduni e marce di protesta a sostegno dei diritti all’aborto prima, con il lavoro in cliniche abortiste, marce per la vita e tutela dei bambini nel ventre materno poi, la scrittura di due autobiografie, un documentario e una valanga di articoli su giornali e riviste. Negli anni Ottanta ha sostenuto il diritto di scelta, ritrattando poi tutto nel 1995 e dichiarando che: «Sono stata persuasa dagli avvocati femministi a mentire, a dire che ero stata stuprata, e che avevo bisogno di un aborto. Ma era tutta una bugia». Poco prima della sua morte, avvenuta nel 2017, avrebbe cambiato ancora una volta la sua storia, affermando di aver sempre sostenuto i diritti all’aborto, come avvalorerebbe l’intervista rilasciata per il documentario AKA Jane Roe, presentato come clamorosa «confessione in punto di morte», ma è chiaro che si è trattato di un’operazione mediatica. Restano i fatti: le femministe pro-aborto hanno portato in scena Jane Roe, ma Norma McCorvey, dopo essersi resa conto di essere stata strumentalizzata, ha lottato tutto il resto della sua vita per tornare a essere se stessa. La sincerità della conversione religiosa della McCorvey non sembra essere messa in dubbio, se non altro perché una delle sue conseguenze è stata la trasformazione della sua lunga relazione sessuale con Connie Gonzales, una donna incontrata mentre la Roe si stava ancora facendo strada nei tribunali, in una normale amicizia fra donne. La McCorvey aveva un’immagine del Sacro Cuore appeso alle pareti della sua stanza di cura e il cuscino del suo letto di morte era ornato da un rosario. È stata solo una brava attrice per tutta la vita? Sicuramente è stata una donna ferita e strumentalizzata da altre donne, la fede, quella, non può essere giudicata.

 

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