Quando lavoravo alla stesura del romanzo Il codice dell’Inquisitore (Panda Edizioni, 2018), nel quale intendevo raccontare una storia che ponesse in primo piano l’influenza del potere economico-medico delle grandi case farmaceutiche, intervistai diversi medici e farmacisti, e quelli che accettarono di rispondere alle mie domande lo fecero solo dietro garanzia di assoluto anonimato.
Mi sarei aspettata di sentir parlare di pazienti, malattie, cure, sollievo; invece ebbi conferma di quanto ognuno di noi in fondo sa: l’industria farmaceutica non si cura, se non marginalmente, di produrre rimedi per le svariate patologie, siano esse più o meno gravi e curabili, ma cerca il consenso d’acquisto, soprattutto attraverso medici compiacenti che si interfacciano con la medicina più come opinion leader capaci di influenzare il mercato che come professionisti della salute.
Johnson & Johnson e i morti del Tylenol
Settembre 1982, nell’area di Chicago vengono rinvenuti i cadaveri di sette persone e dalle prime indagini si scopre che la morte è sopraggiunta dopo l’assunzione di alcune capsule di Tylenol, un antidolorifico prodotto da McNail Labs, divisione produttiva della Johnson & Johnson. Dopo attente analisi emerge che nelle capsule è presente del cianuro, tanto che gli inquirenti avanzano l’ipotesi che si tratti di un sabotaggio ai danni della grossa azienda farmaceutica; pista confermata successivamente. Pur non essendo ritenuta diretta responsabile, la Johnson & Johnson è costretta a ritirare dal mercato i 31 milioni di flaconcini di Tylenol in commercio, per un valore di circa 100 milioni di dollari.
L’amministratore delegato James Burke, e altri dirigenti, si danno da fare per spiegare all’opinione pubblica e alla stampa quanto sta accadendo, rilasciando innumerevoli interviste tranquillizzanti. Il problema non è solo di natura medica, ma anche – e soprattutto – finanziaria, perché la Johnson & Johnson deve ora recuperare le quote del mercato di antidolorifici che ha perduto sull’onda dello scandalo, per questo, e per riscattare la fiducia dei consumatori, l’azienda lancia la famosa confezione antimanomissione, un brevetto che troverà ampia diffusione nell’industria farmaceutica (L.K. Trevino, K.A. Nelson, Managing Business Ethics, John Wiley & Sons, New York, 1995, pp. 176-178).
2019: il nuovo scandalo Johnson & Johnson
A distanza di quasi quarant’anni dal caso Tylenol, la reputazione della Johnson & Johnson precipita ancora a causa di un nuovo scandalo franato nella condanna per aver causato decine di morti per overdose, alimentate da sostanze oppioidi presenti in due antidolorifici: il Duragesic e il Nucynta. Un anno fa lo stato di New York aveva già denunciato la casa farmaceutica Purdue Pharma per avere alimentato l’epidemia di oppioidi con il suo antidolorifico OxyContin (3.000 decessi per overdose da oppioidi nel 2016, 2.400 dei quali in seguito all’assunzione di antidolorifici della Purdue).
La condanna della Johnson & Johnson, contro la quale l’azienda ha già mosso ricorso – e si tratterebbe di pagare 572,1 milioni di dollari (515 milioni di euro) – sancirebbe la validità dell’accusa di aver ignorato la dipendenza da oppioidi e di aver contribuito alla diffusione di una vera e propria epidemia attraverso campagne di marketing ingannevoli.
Marketing o medicina: l’inchiesta di David Healy
David Healy
Ma il vero problema, scrive il medico David Healy nel suo saggio inchiesta del 2016 Pharmageddon, è che anche se in superficie la pratica medica è sempre la stessa, in realtà essa è totalmente cambiata, come dimostrano, ad esempio, tutti quegli esami di laboratorio che vengono effettuati oggi non per identificare patologie o malattie bensì per «diagnosticare una sorta di carenza di farmaci, e che spesso entrano nella pratica medica come parte di una strategia di mercato per un nuovo farmaco» da proporre agli acquirenti, per i quali saranno sempre individuate nuove «carenze da colmare con l’assunzione di nuovi farmaci» (D. Healy, Pharmageddon. Eclissi della cura e marketing della medicina, Mimesis Edizioni, Milano 2016, p. 22).
Le industrie farmaceutiche sono ad oggi le società più redditizie del pianeta, con medicinali – od anche i famigerati integratori alimentari – che generano profitti per miliardi di dollari l’anno; denaro che attira investitori, lobbisti, medici influencer, sponsorizzazioni governative e sperimentazioni spesso prive di limiti etici, basate su linee guida mediche che sono ostaggio delle stesse Case del farmaco, il cui scopo è attirare l’attenzione su malattie per le quali possano arruolare medici e ricercatori compiacenti per imbastire sperimentazioni volte non alla ricerca della cura, bensì all’affermazione commerciale dei farmaci prodotti allo scopo. E così «le malattie diventano un’occasione di vendita» (ibidem, p.219), mentre gli acquirenti vengono educati alla «fiducia assoluta nei medici» mediante personaggi famosi, campagne pubblicitarie ingannevoli e serie televisive ambientate nel «bianco e limpido mondo degli ospedali», dove medici geniali e generosi diventano gli eroi del farmaco.
Bibliografia
David Healy, Pharmageddon. Eclissi della cura e marketing della medicina, Mimesis Edizioni, Milano 2016.
L.K. Trevino, K.A. Nelson, Managing Business Ethics, John Wiley & Sons, New York, 1995.
C. C. Rosenberg, The Therapeutic Revolution: Medicine, Meaning and Social Change in Nineteenth-Century America, University of Pennsylvania, 1979.
Dalla realtà al romanzo: tra narrativa storica e inchiesta
Il codice dell’Inquisitore
«La HiT è una holding farmaceutica operativa, assorbe e converte capitali», riprese Icaro […] «Da quando Holdman ne ha sollevato dalla gestione il suo predecessore, Philip Turner, la società ha triplicato gli utili. Piccola annotazione: Turner è stato trovato morto a New York, non molti mesi fa, con in mano un dossier che un medico finlandese gli aveva fatto avere e con quello intendeva fare un po’ di luce su alcuni accadimenti recenti e non. Lo hanno trovato in ginocchio con un cappio al collo e un biglietto in tasca che dichiarava la sua disperazione». «Un cappio al collo in ginocchio? Che senso ha?», si stupì Ermes. «Per dire a chi doveva capirlo che era un finto suicidio», rispose ancora Icaro con ovvietà, «Philip Turner non era un venduto, era un bravo medico. Era presidente di diverse fondazioni emerite, poi inglobate nella HiT. Prima di lui un altro presidente e poi uno prima ancora e poi uno prima ancora…» «Quanto indietro nel tempo?» «Non moltissimo, in verità. Solo alla fine dell’Ottocento la preparazione di farmaci è diventata una vera e propria industria, decollata poi nei primi decenni del Novecento.[…]» «Dove vuoi arrivare?» «Voglio arrivare agli Illuminati e all’Inquisitore Ruggero Valenti, morto nell’aprile o forse maggio del 1600 dalle parti del Grappa». «Cosa ha a che vedere lui con la HiT?» «Allora non mi ascolti dottore: le radici sono nel Seicento, il gruppo di speziali che vendeva già i preparati, come un’azienda farmaceutica, si basava sulle ricerche esoteriche di alcuni eretici, filo protestanti, che si facevano chiamare Illuminati. Troverai tutto nel suo dossier, insieme al resto, alla storia dei crimini e via dicendo». «Mi sembra piuttosto forzato». «L’incredulità della gente è il loro paravento d’eccellenza».
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