La linea d’ombra di Joseph Conrad

“Viviamo come sogniamo, soli.”
Joseph Conrad

Joseph Conrad (1857-1924) manifestò una personalità elusiva ed enigmatica e fu uno scrittore perpetuamente creativo e sfuggente, un avventuriero amante delle donne (coltivò tale passione in ogni porto in cui si recò durante il servizio sulle navi), un autore di romanzi e lunghi racconti inanellati  quasi fossero una protratta autobiografia spirituale; spirituale nel senso onirico e istintivo di una convivenza irrisolta con le ombre del passato, e con i morti. Il legame con la morte ( e con i defunti) fu per lui quel sentiero notturno atto a condurre gli uomini al cospetto della loro infinita complessità e, nel contempo, della loro drammatica e schietta debolezza: è la linea d’ombra oltre la quale i suoi personaggi intravedono il destino desiderando, il più delle volte, fuggirne, ma al quale, il più delle volte, si piegano.

Il soprannaturale, la vita e la morte

Conrad si addentrò spesso nel soprannaturale, eppure contestò i critici che vollero cogliere, nella sua opera, dei tentativi letterari di trasportare l’immaginazione «oltre i confini del mondo in cui vive e soffre l’umanità», anzi rinnegò con energia un’analisi trascendente delle sue storie, ammettendo più volte, come nella prefazione proprio al romanzo La linea d’ombra (The Shadow Line: a Confession, 1917), quanto tutto il suo essere morale e intellettuale si rifiutasse di approvare la presenza di un qualcosa oltre la vita, poiché «il mondo dei vivi contiene abbastanza meraviglie e misteri così com’è». L’ultraterreno e il sovrannaturale erano per lui un artificio, «l’invenzione di menti insensibili alla delicatezza del nostro rapporto con i vivi e con i morti», una profanazione dei ricordi, un oltraggio alla dignità dell’uomo mortale. Come spiegare, dunque, l’inspiegabile presente nei suoi scritti?

Così visse, così scrisse

Edward William Garnett

In una breve prefazione alle sue opere, l’amico e curatore Edward William Garnett (1868-1937) ne dipinse una intensa descrizione ritraendolo come «un uomo nero di capelli, piccolo, ma straordinariamente grazioso nei suoi gesti nervosi, occhi brillanti, ora aggrottati e penetranti, ora teneri e caldi, un modo di fare vigilato […] una conversazione cattivante, circospetta, o ispirata». Questo fu, a ben leggere, non solo il suo modo di essere, ma anche il suo modo di scrivere: stile nervoso, dialoghi brillanti a volte aggrottati e penetranti altre volte caldi e suadenti, una prosa circospetta e ispirata.
E quanto forte fosse il legame tra l’essere e lo scrivere, Conrad lo svelò apertamente in una lettera del 1908 all’amico Arthur Symons: «Non sapevo di avere un cuore di tenebra […] nessuno ha mai pagato più caro di me le righe che ha scritto». E non è forse il ben noto capolavoro Cuore di tenebra il luogo narrativo in cui il protagonista Marlow scopre che le tenebre che si manifestano nel mondo altro non sono che le tenebre che assediano l’inconscio?

L’illusione spezzata del romanzo

Conrad, il cui mondo diegetico fu prevalentemente maschile (la donna viene spesso idealizzata, perfino disumanizzata in un misticismo illusorio), consegnò la narrazione a un narratore (talvolta coincidente con un personaggio) quasi sempre incapace di penetrare il significato vero dell’esperienza raccontata. In questo seguì le orme di Henry James (1843-1916), che come lui rivelò la difficoltà del romanzo di essere ancora un mezzo efficace, come era stato nel glorioso passato ottocentesco, per codificare una realtà ormai disgregata, mutevole e priva di un «centro di coscienza»; in conclusione troppo evanescente e inintelligibile per essere racchiusa in un codice narrativo e, soprattutto, per essere compresa.

Come suggerisce Harold Bloom (Mondadori, 1997) Conrad disprezzò il nichilismo di Nietzsche (1844-1900), eppure molti suoi personaggi – alla maniera del Martin Decoud di Nostromo (1904) – sono privi di qualunque illusione, e si autodistruggono perché non possono sopportare la solitudine. Sono personaggi perseguitati da ombre e inquietudini che impediscono loro di agire, immobilizzandoli nella stasi perfetta del puro terrore. Così, uomini d’onore e coraggiosi marinai, verso i quali il lettore è indotto all’inizio a nutrire un’illusoria fiducia, si trasformano in reietti incapaci di leggere i segni, in anime perseguitate dall’idea della morte, in spettatori annichiliti inanzi alle tenebre che si addensano attorno allo scafo della nave improvvisamente – e apparentemente – orfana di comando o, per meglio dire, in balia di un comando oscuro e incomprensibile.

L’ombra oscura

Ciò che La follia di Almayer (1895), Il negro del Narciso (1897), Lord Jim (1900), Tifone (1902), Nostromo (1904), L’agente segreto (1907), Vittoria (1915) nascondono nell’intercapedine narrativa, non è forse il sussurro inatteso – e inattendibile – di una sorta di personaggio ombra che segue i protagonisti, che li alterca, e che prende forma ora di fantasma, nel ricordo oscuro di un capitano defunto, ora di una malattia, di un morbo atroce e inoppugnabile che devasta le ciurme, o perfino di una notte più nera e impenetrabile delle altre? Non è forse per questo che Conrad scelse parole non trasparenti, ambigue, doppie, suscitando nella forma del discorso un rapporto dialogico fra i personaggi e il loro inconscio? Più che significato, la narrazione conradiana conduce al non-significato: un qualcosa di più profondo e smarrente del dubbio. L’orizzonte della navigazione – e l’orizzonte dell’io –  variano senza sosta, anche quando sono prigionieri di eventi tangibili concreti quanto una tempesta in alto mare, e ogni storia diventa il riflesso di un’altra storia, una storia profonda, abissale e intuitivamente spaventosa. Per liberarsi dalla prigione del non detto e dall’assenza di significato, i protagonisti di Conrad hanno sempre bisogno di un esorcismo narrativo: è questo che risolve la possessione della tenebra senza nome, e avviene quasi sempre al culmine della stasi o nel dramma di un’ammissione o di una rinuncia. L’ombra allora si ritira oltre la linea, non svanisce, ma resta in agguato, perché il viaggio conduce e condurrà sempre alla morte, il porto che ogni navigante vorrebbe evitare, e che pure lo vedrà approdare.

Il destino del Capitano

Il Capitano, l’uomo al comando della nave «le cui sensazioni non possono essere le stesse di nessun altro a bordo», l’unico a poter «all’improvviso, come girando pagina di un libro» rivelare «una parola che rende chiaro il senso di tutto quello che c’era» è l’uomo-dio doppio del dio-scrittore, che non cerca paradisi perduti ma la vittoria contro il demone che lo possiede, contro l’altro, il vero antagonista, il «compagno segreto» che ogni capitano porta con sé, al fianco, intorno, dentro come una «coscienza che gli fa memoria perenne» della sua fragilità e finitudine e di quanto sia pericoloso «commettere peccato», che per Conrad non era l’allontanarsi da un Dio che probabilmente non esiste, bensì l’allontanarsi dalla costa, dal resto dell’umanità, dalla terraferma per affrontare l’ignoto, l’inimmaginabile, oltre i confini dell’orizzonte, in un onirico slancio di onnipotenza che rende giustizia all’esistenza di uomini eletti, nati per distinguersi, per essere portatori del segno del comando.

Cuore di tenebra

Uomo di mare Joseph Conrard riversò nelle sue storie il battito oscuro dei suoi numerosi fantasmi, spargendo ovunque indizi della loro presenza, pur senza svelarli mai fino in fondo. La tensione narrativa si accentra intorno all’ansia creativa, al clamore di un’anima inquieta, fino a diventare ossessione, espressa nel racconto Il compagno segreto (The Secret Sharer, 1909) in cui l’oscura presenza a bordo della nave pare riflesso del segreto compagno di viaggio che condivise l’inconscio di Conrad costringendolo, pare, a brusche partenze e fughe improvvise da ogni nave sulla quale prese servizio, che gli inflisse non rimarginabili ferite psicologiche – fino ad acuti stati depressivi – che lo inseguì e lo tormentò per tutta la vita, sotto forma di malessere incurabile che gli impedì di trovare pace e soddisfazione perfino nel tardivo successo letterario. 

Bibliografia

  • Richard Ambrosini, Le storie di Conrad. Biografia intellettuale di un romanziere, Carocci Editore, 2019.
  • Joseph Conrard, Appunti di vita e di letteratura, Bompiani, 1950.
  • Romanzi e racconti dell’autore in particolare: La Linea d’ombra, Lord Jim, Vittoria, Cuore di Tenebra, Nostromo, Il compagno Segreto.
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