Parlare di Sparta e Atene vuol dire andare alle radici della civiltà occidentale; vuol dire riflettere sul silenzio di Sparta e sul logos di Atene. Atene faceva mostra di ben visibili e stupefacenti monumenti, Sparta, di contro, «non aveva altre mura, come si diceva, che i petti dei suoi cittadini». Atene era la libertà del dibattito e Sparta la costrizione della ferrea disciplina militare. Atene incubava il seme della modernità, dubitando degli dei, Sparta era imprigionata da una liturgia devota e militare. Atene era piazza animata dal parlare di uomini e donne che erano già individui nel senso moderno, e Sparta, invece, era un unico corpo sociale, un popolo arcaico e coeso.
Consuetudini storiche
La consuetudine storica ci indica in Atene «il primato della civiltà», mentre addensa intorno al mito marziale di Sparta il più brutale e ottuso silenzio dello spirito, della libertà, della scelta, della parola. Eppure, come suggerisce lo scrittore Andrea Galli, Sparta era preferita da Socrate (?-399 a.C) e Platone (429 a.C-?), accusati per questo di essere filo-spartani e, dunque, sospetti di non essere dei «progressisti». La domanda che Galli pone è: «perché l’entourage di Socrate – il gruppo umano più culturalmente rilevante mai esistito – guardava a Sparta come a un modello di prestigio impareggiabile» pur essendo ateniese? Perché «nel senso più profondo, Socrate non fa che scandagliare i confini di un silenzio che contiene la verità, a cui egli attinge – e insegna ad attingere – al di là del discorso. Come spiegare che questo silenzio olimpico da cui Socrate e Platone traggono le loro parole inesauribili è precisamente il silenzio di Sparta?»
Il silenzio che custodisce
Socrate e Platone erano filo-spartani perché ritenevano che il silenzio culturale e sociale che Sparta custodiva non fosse affatto brutale e privo di spirito, bensì sacro e ascetico, sollecitato dalla rinuncia del sé (specie dei soldati) per gli altri. I due filosofi intendevano accogliere l’idea che l’ordine costitutivo di Sparta fosse incentrato sull’addestramento militare, e non sulla libertà individuale, perché ciò «indicava che la conoscenza non si ottiene con le acutezze volatili della mente, ma con lo sviluppo dell’essere, del carattere; e che la verità che non può essere detta va difesa con la forza contro il caos che vuol cancellarla».
L’arma della memoria
Il silenzio di Sparta era un silenzio custode, un silenzio pieno di parole difficili da pronunciare, impossibile riempirne le piazze come ad Atene; era un silenzio di parole da vivere. Eppure, la storia ha continuato a restituire un’immagine acerrima degli Spartani, popolo così crudele da selezionare i nascituri, eliminando i piccoli nati deformi, gettandoli da una rupe. Poco importa che recenti scavi archeologici abbiano smentito questa versione dei fatti, poiché ai piedi del promontorio che domina Sparta sono stati trovati solo resti di uomini adulti, e tutti appartenenti a uno stesso periodo, probabilmente soldati nemici sconfitti. E soprattutto poco importa che l’eugenetica sia, di contro, centrale oggi, anche se per eliminare gli indesiderati nessuno si serve di una rupe del Taigeto.
Bibliografia
Andrea Galli, Il silenzio di Sparta.
Paolo Mieli, L’arma della memoria. Contro la reinvenzione del passato, Rizzoli, 2015, edizione digitale.