«Evita è morta da poco e il generale Perón ha dato l’ordine di mummificarla, contravvenendo per primo all’ultimo desiderio di sua moglie: «Non lasciare che nessuno mi tocchi». Da quel momento, un galiziano superbo e insolente, il dottor Pedro Ara, inizia a manipolare il cadavere, a trattarlo con formaldeide, paraffina e cloruro di zinco, a iniettargli soluzioni di timolo nell’arteria femorale, a inondarlo con fiumi di gas, di mercurio, di ghiaccio secco. Nella scommessa di eternare l’illusione di uno sguardo enigmatico e perfetto e una via lattea di vene e capillari sul suo collo traslucido, di alabastro, perché gli uomini continuino a innamorarsene anche da morta».
[Fabio Stassi a Santa Evita di Tomás Eloy Martínez (Edizioni SUR)].
Eva no duerme
María Eva Duarte de Perón (1919-1952) fu la seconda moglie del presidente argentino Juan Domingo Perón (1895-1974), al suo fianco in carica come donna di Stato dal 1946 fino alla morte avvenuta per un tumore, a soli 33 anni, nel 1952. La vita di Evita (come la chiamavano affettuosamente gli argentini) divenne un film celebrativo nel 1996 diretto da Alan Parker e interpretato da un’improbabile Louise Veronica Ciccone (la popstar delle masse Madonna), ma più ancora, fu la sua morte a suscitare una trasposizione cinematografica suscitante diversi interrogativi: Eva no duerme del 2015, diretta da Pablo Agüero, una riproposizione delle incredibili vicende – è proprio il caso di dirlo – toccate alla salma della donna che incarnò il sogno democratico argentino.
Il film è intriso di suggestioni gotiche e alimenta, dall’inizio alla fine, la percezione di una morte non morte della venerata «Madonna degli argentini», morta a trentatré anni come Gesù Cristo, annotazione di un segno di elezione che nel film viene affidata all’enigmatico ammiraglio Massera (Gael Garcia Bernal), la voce narrante. Attraverso immagini dal taglio sperimentale alternate a quelle storiche, il regista racconta la storia della mummificazione della salma della Peròn in modo teatrale (in senso letterale: i personaggi sono quasi sempre pochi e in spazi scenografici chiusi). Il tutto gira intorno al concetto politico della sempieternità simbolica di Eva Perón: un’immortalità verginale, purissima, intatta. Evita, infatti, subisce un processo di trasformazione da essere umano a «dea immortale» che attira i mortali al punto da sedurli verso atti di necrofilia (un giovane militare, addetto alla custodia durante il trasporto in nave della salma, tenta di baciare il cadavere mummificato).
Ara: l’imbalsamatore di Lenin
Il film, cupo e ossidianico nelle tinte scarne, racconta, dunque, la storia di Evita dopo la sua morte, quando il marito decise di trasformarla in una mummia, affinché fosse «eternamente esposta alla venerazione degli argentini». Il processo di imbalsamazione fu affidato al dottor Pedro Ara (1891-1973), che tra l’altro si vantava di aver partecipato all’imbalsamazione di Lenin, un medico anatomista che accettò di buon grado il difficile incarico evidentemente di matrice politica a sostegno dell’autorità di Peròn stesso. Le operazioni di imbalsamazione della santa laica Evita, durarono probabilmente un anno.
«Lì, Evita restò vestita con una tunica d’avorio, esposta alla devozione del suo popolo. Ma Péron si disinteressò quasi subito di quella sorta di processo di santificazione della regina dei descamisados. Interessato da donne vive, anzi da ragazzine minorenni come si vociferava, non gestì con accortezza quel processo simbolico che avrebbe forse salvato il suo regime. Eva Duarte infatti era la vera consacrata dal potere nell’Argentina di quegli anni e senza di lei Péron era destinato a perdere velocemente il consenso del suo popolo. Lei era stata amata da viva, e segni di devozione erano ben presenti anche da morta. Probabilmente se fosse stata collocata nel mausoleo che era stato progettato per lei il potere di Péron si sarebbe consolidato. Ma il progettato mausoleo non fu mai costruito». [Mario Arturo Iannaccone, Evita L’Iside Incompiuta].
La mummia senza pace
Quando, nel settembre del 1955, Péron venne destituito in seguito alla Révolucion Libertadora, il nuovo presidente Eduardo Leonardi si ritrovò a dover gestire l’ingombrante mummia dell’amatissima Evita, deposta come una sorte di «Vergine de los pobres», e dopo di lui toccò al successore Pedro Eugenio Aramburu. Da lì iniziarono le peregrinazioni per sottrarre la mummia alla venerazione degli oppositori del nuovo regime. Così, fu traslata prima in Italia, a Cerro Maggiore (dove si dice siano nascoste le ossa di Mussolini) e poi a Milano, sotto falso nome di una donna italiana emigrata in argentina e restituita alla Patria. Infine, negli anni Settanta fu restituita a Peròn all’epoca in esilio a Madrid il quale, suo malgrado, dovette riaccoglierla.
Santa Evita
La storia è stata ripresa anche nel romanzo Santa Evita (1995) di Tomás Eloy Martínez, il libro più tradotto della storia della letteratura argentina, che prende avvio proprio dove la vita della prima donna argentina finisce, iniziando la surreale vicenda post mortem del suo corpo, fino ai macabri tentativi di furto (motivo per cui fu duplicato in più copie) e al misterioso trasferimento dopo il golpe del 1955. Ricercato dai servizi segreti, occultato, traslato, ma idolatrato e reso mitico dall’aura di «santità» voluta da chi vedeva in quella morte una possibilità di controllo politico-esoterico delle masse. Come spiega Iannaccone, nel suo citato articolo-saggio, «Nel processo di laicizzazione si è così venuto a verificare sempre più spesso il caso singolare di importanti leader politici defunti che, per le posizioni che tennero in vita e per le forze politiche e culturali che rappresentavano, hanno ricevuto esequie «laiche», o sono stati salutati con cerimoniali giudicati tali o prevalentemente tali. E laica è stata la simbologia funebre loro riservata. O almeno così è parso […] In questi casi furono inventate forme para-religiose per l’omaggio alla salma e per il mantenimento nel tempo di un culto ad essa dedicato, forme che in rispetto delle convinzioni dei gruppi che gestivano questi sentimenti o del defunto stesso, non potevano esprimersi apertamente come tali soprattutto nel caso di Lenin (avrebbero contraddetto l’immagine razionale e laica, distaccata dalla religione, che erano il fondamento ideologico della loro esistenza) ma anche, in forme diverse, in quelle di Eva Duarte e di Lenin».
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