Certo sappiamo che un ex soldato al fronte tedesco, chiamato Adolf Hitler, […] comprese il significato e approvò la lezione impartita dai gulag alle isole Solovki e dintorni. E con entusiasmo decise di metterla in pratica.
[Dario Fertilio, Prefazione a Il primo gulag. Le isole Solovki, 2017]

Quando si parla di esseri umani ammassati, sottoposti alla coercizione di atroci comandi disumanizzanti – nel corpo e nello spirito –  fino ad arrivare alle propaggini più oscure e dolorose della follia, si va immediatamente, anche per massiccio retaggio culturale, ai campi di sterminio nazista. Proviamo ad aprire l’orizzonte, troppo spesso rinchiuso in chiaroscuri appannanti e falsamente confortanti; confortanti perché familiari e mediaticamente sovraesposti.
Ernst Jünger (1895-1998), scrittore e filosofo tedesco, 
faceva riferimento alla mobilitazione totale (Totalmobilmachung) inaugurata dai regimi del Novecento e volta a realizzare quella che molti oggi chiamerebbero, con simpatia, globalizzazione. Circostanziandola al periodo cui facciamo riferimento, e restituendola al suo originario significato, alla sua radice intenzionale e non opportunistica, riusciamo a riconoscerla, un po’ meno simpaticamente, quale collettivizzazione massiccia e massiva di soldati, cittadini, uomini, donne sotto ideologie assordanti e violente, ammantate di positivo rinnovamento e di luminosa rinascita. Per questo, quando facciamo riferimento a prigionieri e vittime rinchiuse in spazi subumani e circoscritti siamo autorizzati per forza di cose ad ampliare l’orizzonte dell’orrore, a ricostruire coincidenze imbarazzanti e parallelismi scomodi: dobbiamo, cioè, affrontare i gulag, che no, non sono una narrazione controstorica atta ad alleggerire le responsabilità naziste, sono un fatto testimoniato e documentabile, ormai impossibile da dissimulare e appartare con gli opportunismi politici tipici, per l’appunto, dei regimi.

ARCIPELAGO SOLOVKI: TRA INFERNO E PARADISO

Le isole Solovki, arcipelago russo nel Nord del mondo, fuori dalle logiche geografiche comuni, sono state scenario di quella banalità del male che però, in questo caso, qualcuno ha pensato davvero di banalizzare e rendere asettico, inutile e inopportuno. L’uomo che a poco a poco si apre alla banalità si arrende come una fortezza in cui, una volta incrinate le fondamenta, non si troveranno più né forza né mistero, affermava Jünger; banalizzare un fatto storico di tale portata, sminuirlo al più a ombra grigia dell’orrore nazista, equivale a nascondere, equivale a occultare colpevolmente. Eppure, prima di divenire Inferno, l’arcipelago delle Solovki era il Paradiso di monaci e religiosi che ne avevo fatto il «centro più importante di meditazione e di preghiera del giovane stato russo» (Bigazzi, p. 15). Il monastero delle Solovki era stato edificato nel XV, ma nel 1923, nel pieno della repressione bolscevica, venne trasformato nel primo gulag sovietico, uno dei più organizzati.
A questo punto è
doveroso, ed è agghiacciante, annotare che la Chiesa contava quasi 210.000 membri consacrati prima della Rivoluzione di ottobre, di questi 130.000 vennero fucilati tra il 1917 e il 1941. Con loro furono uccisi 250 dei 300 vescovi presenti nel 1917. La Russia contava 2 milioni di cattolici, prima dell’avvento dei bolscevichi, molti dei quali morirono durante le ondate repressive volute da Lenin (1870-1924) prima e da Stalin (1878-1953) poi. Del resto, la persecuzione sovietica ai danni dei cristiani riguardò oltre 100 milioni di individui. L’identità di molte delle vittime è rimasta un mistero fino al post Perestrojka (inaugurata nel 1985 da Gorbačëv) con la conseguente caduta dell’URSS. A quel punto gli archivi di Stato e del KGB sono stati aperti e sono così apparsi i nomi di centinaia di detenuti nei campi di rieducazione, fra cui appunto quelli delle Solovki. Solo a quel punto, i familiari delle vittime hanno potuto conoscere i perché, i dove, i quando tanto a lungo attesi; e hanno potuto rintracciare quelle risposte, evidentemente solo parziali, e probabilmente inaccettabili, che erano loro state negate con formule legali, quasi di crudele cortesia, come condanna senza diritto di corrispondenza o morte per malattia (Scalfi, in Prefazione, 2000).

IL MOVIMENTO DEGLI INNOVATORI

Tuttavia, l’opera di repressione e distruzione attuata dal regime sovietico ai danni della Chiesa non si attivò solo in modo diretto e, potremmo dire, apertamente brutale. I sovietici agirono anche mediante infiltrazioni e scismi interni. Dal 1923 al 1928, per esempio, vennero incoraggiati e sostenuti i cosiddetti «innovatori» che avrebbero potuto (e dovuto) sgretolare la Chiesa dall’interno. Il Movimento degli Innovatori era nato proprio a un passo dalla Rivoluzione d’ottobre, nel marzo del 1917, e con il tempo aveva accentuato il suo essere filocomunista, progressista e anticlericale (nel senso più pieno di opposizione alle gerarchie ecclesiastiche ufficiali).
Le Isole Solovki sono state cuore martoriato della persecuzione, ma anche centro di propagazione dell’ideologia della rieducazione e al suo orrore presenziarono anche coloro che il regime aveva intercettato come possibili voci autorevoli cui affidare il messaggio dell’uomo nuovo. Intellettuali, scrittori, studiosi, storici divennero in breve tempo testimonial della propaganda «sport, musica e lavoro» come liberazione dall’oscurantismo e dall’oppressione del passato; di quel passato che doveva essere cancellato a ogni costo, distrutto per poter essere ricostruito. Fra questi testimoni della «buona rieducazione» vi fu anche Maksim Gor’kij (1868-1936), celebrato scrittore, drammaturgo, padre del realismo socialista e adepto del simbolismo esoterico di Aleksandr Blok (1880-1921), del quale elogiava il sangue sano, amico di Lenin (che ospitò a Capri) e di Tolstoj.  Gor’kij riuscì perfino ad ammettere, con una certa ingenua eleganza, uno degli intenti meno confessabili (e più nascosti) del socialismo rivoluzionario: «[…] Vogliamo che tutte le malattie, gli handicap, le imperfezioni, la senilità e la morte prematura dell’organismo siano studiati minuziosamente e con precisione? Questo studio non potrebbe essere effettuato con esperimenti su cani, conigli e cavie. È indispensabile l’esperimento sull’uomo, è indispensabile studiare su di lui […] tutti i processi del suo organismo. Occorreranno centinaia di unità umane, sarà un vero servizio reso all’umanità e sarà, evidentemente, più importante e più utile dello sterminio di decine di milioni di esseri sani […]» (Cfr. A. Vaksberg, Le Mystère Gorki).
Egli fu fra coloro che, da intellettuali vicinissimi al regime sovietico,
ne accreditarono, e appoggiarono, i metodi, tacendo la verità, quella verità che, non molto tempo dopo, il Premio Nobel Aleksandr Solženicyn (1918-2008) avrebbe urlato dalla pagine del suo capolavoro Arcipelago Gulag (inizio nel 1958).

Continua con Nel cuore caldo della guerra fredda

Bibliografia

  • Francesco Bigazzi, Il primo gulag. Le isole Solovki, Mauro Pagliai Editore, 2017.
  • Romano Scalfo, I Testimoni dell’Agnello. Martiri per la fede in URSS, La casa di Matriona, 2000.
  • Jurìj Brodskij, Solovki. Le isole del martitrio. Da monastero a primo lager sovietico, La casa di Matriona, 1998.
  • Aleksandr Solženicyn, Arcipelago gulag, Mondadori, 1974.
  • John L. Harper, La Guerra Fredda. Storia di un mondo in bilico, Il Mulino, 2011.
  • Robert Conquest, Il grande terrore. Gli anni in cui lo stalinismo sterminò milioni di persone, Bur, 1999.
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