Signori capitalisti russi e stranieri! Sappiamo che per voi è impossibile amare il nostro regime. Certo che lo è! Esso è riuscito come nessuno a controbattere i vostri intrighi e le vostre macchinazioni quando ci avevate soffocati, circondati d’invasori, organizzando complotti all’interno del paese senza rifuggire dal crimine per di distruggere la nostra opera di pace.
[Discorso di Lenin, 23 dicembre 1921]

 

ALLE SPALLE DI STALIN

Ombra tra le ombre

Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij (1877-1926)

Nel 1937, a dieci anni dalla morte, Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij (1877-1926) veniva ancora ricordato come «il bolscevico infaticabile, l’irriducibile cavaliere della Rivoluzione» sotto la cui guida la Čeka aveva contenuto e annullato l’insidia mortale rappresentata dai nemici della «giovane repubblica sovietica» (Andrew, Gordievskij, 1990). Del resto il culto verso la sua persona, e la sua opera, perdurava in sottofondo nonostante gli sviluppi dell’era di Stalin (1878-1953), quest’ultimo considerato un genio dei servizi segreti sovietici. In realtà, durante l’era staliniana i ritratti e le effigi che raffiguravano Dzeržinskij iniziarono a diminuire, sostituite da quelle di Stalin. Di fatto, la sua autorevolezza riemerse di nuovo nel post stalinismo degli anni Sessanta, come conseguenza della destalinizzazione, quando il KGB tentò, con una certa qual disperata riformulazione dei fatti, di sottrarsi alla realtà del proprio coinvolgimento con le crudeltà del periodo staliniano.

IL RE-IMPASTO STORICO

Cancellare le tracce

Il motto con cui Dzeržinskij era solito definire l’atteggiamento più consono a un appartenente alla Čeka «cuore caldo, mente fredda e mani pulite» tornò a essere citato in tutti i testi del KGB; e, alla fine degli anni Cinquanta, quasi come offerta votiva e richiesta di perdono dopo la damnatio memoriae dell’epoca staliniana, i suoi devoti cultori gli offrono in riparazione un’enorme statua, che fu posta davanti al quartier generale del KGB. Presso la statuaria raffigurazione del loro «Cavaliere della Rivoluzione» tutti dovevano portare fiori freschi e raccogliersi per un minuto di silenzio a capo chino «con simili rituali, gli effettivi odierni del KGB riescono a rafforzare una propria immagine di Čekisti e sopprimere, almeno in parte, la sgradevole consapevolezza di un collegamento molto più diretto con l’NKVD di Stalin» (Andrew, Gordievskij, 1990).

URSS E GRAN BRETAGNA

Un rapporto diretto

Ad ogni modo, Dzeržinskij era riuscito effettivamente a infiltrare i suoi uomini nel comparto diplomatico, negli organi di stampa, nel mondo più o meno conciliante dei Paesi stranieri. La principale fonte di informazione per l’URSS sulla politica britannica era, di fatto, il giornalista Arthur Ransome (1884-1967), diventato poi famoso come autore di racconti per bambini. Ransome ammirava sinceramente i bolscevichi – i diabolicamente energici bolscevichi – convinto che avessero il «potenziale costruttore di una Nuova Gerusalemme», sposò la segretaria di Trotzkij, per la quale divorziò dalla moglie britannica e, soprattutto, elogiò sempre con intensità lo stesso Dzeržinskij che definì un «tranquillo fanatico dalla mente fredda» (Mawdsley, 1987), e che incontrò più volte, specie a Mosca.

IL VANTAGGIO BRITANNICO

Gli ex analisti russi

Peculiare di molti collaboratori stranieri della Čeka, proprio come Ransome, fu il continuo tentativo di giustificarne le atrocità in nome di una ricostruzione più equa e giusta della società. Tuttavia, nonostante le infiltrazioni, negli anni Venti l’Intelligence di Sua Maestà poteva vantare di avere tra le mani molte più informazioni sull’URSS di quante ne avessero i sovietici sulla Gran Bretagna. Il motivo era soprattutto tecnico, perché i sovietici avevano timore (e scarsa dimestichezza) nell’utilizzare codici cifrati e cifrari (che erano stati utilissimi agli Zar) e non avevano più gli analisti migliori del mondo, quelli che erano stati in grado di portare a un livello superiore l’interpretazione dei messaggi cifrati, ponendo la Russia sul tetto del mondo quanto a gestione delle informazioni. E, soprattutto, quegli analisti erano ormai fuggiti all’estero e lavoravano contro la repubblica sovietica. Fra loro c’era anche Ernst Fetty Fetterlein (1873–1944).

DIETRO LE QUINTE

Una storia già scritta

Fetterlein dichiarò di essere stato il primo crittoanalista russo, sotto l’ultimo Zar Nicola, ed era considerato il migliore anche dai suoi colleghi e da coloro che ebbero modo di conoscerlo. Aveva imparato l’Inglese leggendo i polizieschi di Sexton Blake, un detective apparso in molti fumetti, romanzi e produzioni britanniche, e le cui avventure furono narrate grazie in un’ampia varietà di pubblicazioni britanniche e internazionali dal 1893 al 1978. Blake è stato anche l’eroe di numerosi film muti e sonori, serie radiofoniche e serie televisive degli anni Sessanta.
Fu anche grazie a Fetterlein, e agli altri crittoanalisti fuggiti dall’URSS, se i britannici si avvantaggiarono tanto rispetto ai sovietici e, soprattutto, se riuscirono a decodificare le comunicazioni diplomatiche russe inviate durante i negoziati dell’accordo anglo-sovietico.


Dzeržinskij e lo spettro rosso del KGB (I)

Bibliografia

  • Brian Freemantle, Il KGB. Storia della più potente organizzazione spionistica del mondo, Mursia, 1997.
  • C. Andrew, O. Gordievskij, La storia segreta del KGB. Gli uomini e le operazioni dei più temuti servizi segreti al mondo, BuR, 1991.
  • Carr E. H., The Bolshevik Revolution 1917-1923, Macmillan, London 1953, vol. III.
  • Adrianov V., «Cavaliere della Rivoluzione», «Pravda», 10 settembre 1987.
  • «Dzeržinskij su se stesso» ed estratti della sua corrispondenza su 20 Let vchK-o-GPU-NKVD, OGIZ, Mosca 1938.
  • Evan Mawdsley, The Russian Civil War, Allen & Unwin, London 1987.
  • George Leggett, The Cheka: Lenin’s Political Police, Oxford University Press, 1981.
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