Il destino dell’uomo è già scritto?
Sarà inevitabilmente residuo?

UN MONITO NON TROPPO LONTANO

1984 di George Orwell (1903-1950) è stato pubblicato nel 1949, ma ha radici profonde nelle esperienze personali dell’autore e nelle sue preoccupazioni sociali e politiche, legate sicuramente alla sua epoca, ma riferirle soltanto a quel dato periodo storico sarebbe riduttivo rispetto al messaggio. Orwell, il cui vero nome era Eric Arthur Blair, ha scritto il romanzo come una sorta di monito contro i pericoli del totalitarismo e dell’abuso di potere da parte dei governi e, dunque, è chiaro il riferimento anche all’oggi. Quel che qui si vuole prendere in considerazione, rispetto alla complessità dell’Opera orwelliana, è quel particolare dettaglio non dettaglio noto come teoria della Neolingua (Newspeak in inglese). In 1984 essa appare come un sistema linguistico creato dal Partito dominante (il governo totalitario) allo scopo di limitare il pensiero critico e le possibilità di esprimere concetti e idee considerati pericolosi o scomodi per il regime. La neolingua è stata ideata per manipolare il pensiero attraverso il controllo del linguaggio stesso. Chi è oggi questo partito dominante che conia parole nuove per ingabbiare le coscienze e manipolare le menti? Chi usa questo potere? Gustavo Zagrebelsky le definisce «forze retrosceniche», una sorta di controllo occulto (e occultato) che sembra incorporeo e inafferrabile e che trasforma la democrazia, e la stessa politica, in una pantomima, in cui politici e tecnici altro non sono che «esecutori della volontà altrui» che spesso combacia con gli interessi di oligarchie finanziarie (L. Canfora, G. Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia, p.13).

FUNZIONE DELLA NEOLINGUA

La neolingua è progettata per limitare la gamma di pensieri possibili, eliminando parole e costrutti, che consentono di esprimere determinati concetti, o introducendone di nuovi per profilare determinate categorie di nemici. Per Orwell, essa riduce deliberatamente il numero di parole disponibili, eliminando quelle che possono portare a discorsi complessi o concetti sfumati. In questo modo, diviene più arduo esprimere idee eterogenee o sottigliezze speculative, pensieri critici o divergenti. Elimina le parole che esprimono valori negativi o scomodi, per sostituirle con termini più neutri. La neolingua semplifica le regole grammaticali, rendendo la struttura delle frasi più elementare e ciò riduce la capacità di costruire argomentazioni articolate e analizzare criticamente le informazioni. L’obiettivo di una ristrutturazione profonda del linguaggio, e di una drastica riduzione delle possibilità espressive, è quello di creare una società in cui il pensiero critico e la libertà di espressione siano limitati, consentendo a chi detiene il controllo di questo meccanismo di «influenzare la mente della massa» (G. Le Bon, Psicologia delle folle, in Prefazione). Orwell usa questa teoria linguistica per illustrare come il potere possa essere esercitato attraverso il controllo del linguaggio e come questo possa influenzare profondamente la società e la libertà dell’individuo.

DEMOCRAZIA E MEDIACRAZIA

Ovviamente il linguaggio non è l’unica arma. Tra i principi per influenzare l’opinione collettiva attraverso i media, ci sono il controllo del flusso delle informazioni, la pianificazione anticipata della comunicazione globale, la valorizzazione dell’immagine. Per ottenere il primo obiettivo si pratica la censura, attuando la strategia dell’unica verità, quella di chi governa e che viene, quindi, amplificata da tutti i media: «Ogni forma di dissenso e di critica è vietata e violentemente repressa». Ma come è possibile che questo avvenga in un Paese democratico? C’è chi parla di mediacrazia. Se il confronto tra le parti è utile al modello di facciata della società aperta, per poter controllare il flusso di informazioni, spiega Michael Deaver (già membro dello staff di Ronald Reagan), è necessario apprendere alla perfezione i meccanismi che regolano le notizie per poi usarli a proprio vantaggio, e questa è l’operatività della mediacrazia in una condizione post-democratica condizionata dai media. Il secondo principio del controllo riguarda, come detto, la pianificazione anticipata delle informazioni che, come spiega Daniel Boorstin in The image, utilizza l’«effetto notizia ad alto impatto emotivo» data senza indicare fonti precise, in modo fumoso e avvalorandola tramite il profilo, quasi cinematografico, di misteriosi testimoni o terze parti, latori occulti dei retroscena più discussi e discutibili (Boorstin, The Image, New York 1962, p. 8). Il terzo principio, valorizzare l’immagine e difendersi dagli attacchi, si basa sul concetto per cui immagini e video aggirano l’elaborazione intellettuale, impattando sull’emotività, e sulla demolizione sistematica degli avversari politici e mediatici, oltre che di tutti i dissidenti in senso più o meno ampio e consapevole (M. Foa, Gli stregoni della notizia, p.13).

IL LINGUAGGIO RESIDUO PER L’UOMO RESIDUO

Uno degli aspetti più interessanti dell’iconoclastia contemporanea è proprio la neolingua utilizzata dai media e forzatamente inserita nella nuova normalità. Oggi è quanto mai facile imbattersi in Attivisti del BLM (Black lives matter) o dell’SJW (Social justice warrior) che combattono contro il privilegio bianco, difendendo il presunto diritto dell’individuo a essere ciò che vuole mediante transizioni più o meno mediche – quasi sempre di costume – perché «Feelings are more important than facts» (I sentimenti contano più dei fatti), argomento caro al cosiddetto movimento Woke «secondo il quale l’interpretazione soggettiva è superiore a qualunque valutazione oggettiva se quest’ultima risulta “offensiva”» (E. Mastrangelo, E. Petrucci, Iconoclastia, p. 10). I justice warrior sono definibili come attivisti radicali con idee tipiche dell’agenda liberal, quali il femminismo, il multiculturalismo, le intersezionalità, ovvero quel particolare corpus teorico che va a suddividere e classificare i vari aspetti che identificano una persona, come il sesso, il genere, la razza, la classe, l’orientamento sessuale, la religione, la fisicità: «I singoli aspetti di identità sociale con cui la persona è “decostruita” si intersecano per definire i fattori di oppressione e discriminazione subiti dalla persona» (E. Mastrangelo, E. Petrucci, p. 11) oppure per individuare e stigmatizzare i suoi privilegi, come nel caso del già citato White privilege.

UN’OPERA COMPOSITA

L’Uomo Residuo di Valerio Savioli
Libro inchiesta 2023

Nel suo L’Uomo Residuo Valerio Savioli affronta in modo sistematico la  cancel culture, il politicamente corretto e il dissolversi dei valori culturali – e non solo – costitutivi della storia europea; decostruzione alla cui base c’è, sicuramente, la neolingua. Di fatto, è impossibile parlarne senza avvalersi di questa «terminologia nuova», che individua presunte minacciate minoranze e presunte minacciose maggioranze. Non per niente, Savioli apre facendo riferimento a Nicole Holliday, docente di linguistica presso l’Università della Pennsylvania, la quale sostiene «[…]che siano stati i più giovani ad aver inventato il concetto di cancellazione, come alternativa al termine censura o boicottaggio» (Savioli, p. 9). Ma l’autore fa emergere anche l’impossibilità di definire in modo preciso i contorni di questa attuale fenomenologia sociale: «Del Politicamente Corretto (P.C.) non esiste un vero e proprio manifesto e non c’è un vero e proprio leader e nemmeno un programma che potremmo definire ufficiale, il che rende questo fenomeno molto più complesso di quanto possa sembrare» (Savioli, p. 10). Nel suo saggio del 2003, Robert Hughes anticipava questo concetto, avvisandoci che seppure la dottrina americana del politically correct non sia mai stata enunciata con chiarezza, o messa per iscritto, essa viene comunque sistematicamente e ferocemente applicata. Se i contorni sono sfumati, il contenuto è lampante: «Tutto deve essere politicamente corretto dai comportamenti sessuali ai gusti letterari, al modo di parlare, di vestirsi, di scrivere. Esisterebbe dunque un modo “giusto” di fare le cose». L’attivista del P.C. opera una discriminazione verso tutto il circostante anche spronato dall’insofferenza nei confronti di tutto ciò che ha una qualità, e per questo motivo stesso si distingue (R. Hughes, La cultura del piagnisteo, in Prefazione).

IL POLITICAMENTE CORRETTO E LA CULTURA DEL “PIAGNISTEO”

Il linguaggio ci fornisce categorie e concetti attraverso i quali comprendiamo e organizziamo la realtà. Se una lingua manca di termini specifici per descrivere determinate sfumature o concetti, potremmo trovare difficile pensare a quelle sfumature o concetti in modo dettagliato. La capacità di discutere di giustizia, libertà o amore si basa sulla capacità del linguaggio di rappresentare concetti complessi, se qualcuno modifica il linguaggio, manipola anche il pensiero astratto. Basandosi sulla definizione primeva dello studioso Roberto Pecchioli, Savioli definisce in poche parole, e in modo pungente, il P.C. come «l’inquietante presagire di un processo senza precedenti» (Savioli, p. 13). Per aprire questa definizione, ne ripercorre la storia e analizza le diverse formulazioni che del fenomeno danno molte autorevoli voci, ma ripercorrendo anche quegli aneddoti che possono aiutare a ricomporre quel quadro dai bordi indefiniti che si diceva all’inizio, perché, appunto, il P.C. non ha dei contorni carismatici, dei manifesti programmatici messi nero su bianco o dei processi apicali chiaramente individuabili. È piuttosto una graduale infiltrazione, un processo overtoniano di accettazione scalare dell’impensabile, l’acqua che bolle a poco a poco nella pentola di Chomsky (Savioli, p. 21).

DOGMI INVIOLABILI

L’insinuarsi del P.C. negli strati della società – e parliamo di un’infiltrazione capillare – è possibile anche e soprattutto perché ogni avanzamento viene fissato con quelli che Savioli chiama «I dogmi inviolabili del neo-progressismo radicale». È l’oggettivazione della nuova mitologia contemporanea, perché cancellare non basta, bisogna riscrivere la realtà e per ancorarla all’immaginario collettivo (come direbbe Jung) è necessario teorizzarla, renderla autentica nel passato, oltre che nel presente: «Per sopprimere la storia bisogna cancellare il passato; riscrivere la storia; inventare la memoria; distruggere i libri (o censurarli); industrializzare la letteratura» (M. Onfray, Teoria della dittatura, p. 13).
Per questo il P.C. procede per dogmi inviolabili: «[…] il portato morale e politico delle opinioni da adottare e l’agenda politica da seguire» (Savioli, p. 49). La messa in discussione degli assunti dogmatici non è possibile perché «Non è prevista nessun tipo di analisi critica: è il senso di giustizia, o meglio di ciò che è ritenuto giusto – politicamente corretto – a dover guidare l’operato dell’Uomo Residuo in un’ottica di profonda e radicale ridefinizione antropologica e spirituale». Un esempio di dogma progressista è ben riassunto nello slogan My body my choice, chiaramente collegato alle agende di tutti quei movimenti tipicamente impegnati nella de-costruzione dell’essere umano, tra tutti siano da esempio il femminismo (e tutte le sue capillari diversificazioni, soprattutto quelle più radicali) e la rivoluzione Gender (anche qui in tutte le sue drammatiche forme, fino alla normalizzazione, ormai in fieri, della pedofilia).

È TUTTO PERDUTO?

L’inchiesta di Savioli è capillare e va affrontata capitolo dopo capitolo. Dati e informazioni, aneddoti e collegamenti tra una circostanza e l’altra si susseguono con dovizia di fonti e particolari. Eppure, nonostante l’anelito sia in parte drammatico, l’autore conclude con un qualcosa che è pari al guizzo di un grande narratore, quella rivelazione finale, quella geniale ancora emotiva che libera tutto il senso del percorso fatto: «Arrendersi è da Uomo Residuo, lottare per vedere il cielo, anche se la sconfitta è assicurata, è da Uomo».


Valerio Savioli, L’Uomo Residuo. Cancel Culture, “Politicamente Corretto”, Morte dell’Europa, Prefazione di “Francesco Borgonovo, Il Cerchio, 2023.


Bibliografia

  • E. Ricucci, Contro la folla – il tempo degli uomini sovraniti, Passaggio al Bosco, Firenze 2020.
  • Marina Mancini, La distruzione di beni culturali come crimine internazionale, Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2018.
  • Noam Chomsky, Media e potere, Bepress (26 novembre 2014).
  • Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, Tea (8 febbraio 2021).
  • Roberto Giacomelli, Psicopatologia del radical chic. Narcisismo, livore e superiorità morale nella sinistra progressista, Passaggio al Bosco, Passaggio al Bosco (16 dicembre 2021).
  • Francesco Erario, Woke. La nascita di una nuova ideologia, Idrovolante Edizioni, 2022.
  • Emanuele Mastrangelo, Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della Cancel Culture che sta distruggendo la nostra Storia, Eclettica, 2020.
  • Alain de Benoist, La nuova censura. Contro il politicamente corretto, Diana Edizioni, 2021.
  • Ettore Gotti Tedeschi, Contro il politicamente corretto: La deriva della civiltà occidentale, Historica Edizioni, 2021.
  • Robert Hughes, La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, Adelphi, 2003.
  • L. Canfora, G. Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia. Un dialogo, Laterza, Bari 2014.
  • Boorstin, The Image. A guide to the pseudoevents in America, Atheneum, New York 1962.
  • Marcello Foa, Gli stregoni della notizia. Atto secondo. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi, Guerini e Associati, Milano 2006.
  • Michael Onfray, Teoria della dittatura. Perché non viviamo più in una società libera, Ponte alle Grazie, 2020.
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