“Il libro di Ernst Jünger sulla guerra del ’14, Nelle tempeste d’acciaio, è incontestabilmente il più bel libro di guerra che abbia letto; di buona fede, veracità, onestà perfette” (André Gide, “Journal”, 1 Dicembre 1942).

DESCRIZIONE E AZIONE

«Mentre crollavo pesantemente sul fondo della trincea, ebbi la certezza di essere definitivamente perduto. Eppure, cosa strana, quel momento è stato uno dei rarissimi nei quali possa dire di essere stato veramente felice. Compresi in quell’attimo, come alla luce di un lampo, tutta la mia vita nella sua più intima essenza. Provai una certa sorpresa per il fatto che essa dovesse finire proprio in quel punto; ma quella sorpresa, devo dire, era piena di felicità. Sentii, piano piano, i colpi indebolirsi come se stessi affondando sotto la superficie di un’acqua scrosciante. Dove ora mi trovavo, non v’erano più né guerra, né nemici» (Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, p. 320).
Così scrive il giovane Jünger, sottotenente della Wehrmacht nella Prima Guerra Mondiale, poi eroe di guerra (viene ferito quattordici volte). Il suo capolavoro è una scrittura a freddo di quanto egli appunta sui taccuini da trincea, e si sarebbe dovuto intitolare “Il rosso e il grigio”, in omaggio all’amato Stendhal, ma lo stesso Jünger preferisce poi “Nelle tempeste d’acciaio”, citando un poema medievale islandese. Scrittore torrenziale, finemente descrittivo e tenacemente dettagliato, pubblica originariamente il libro grazie all’aiuto economico del padre; le duemila copie iniziali si esauriscono in fretta, ed è allora che inizia la fortuna letteraria del giovane scrittore che sarebbe diventato il centenario filosofo Ernst Jünger (1895-1995).

LA POETICA JUNGERIANA

«Mi sforzai sempre, durante tutta la guerra, di guardare l’avversario senza odio, anzi di stimarlo per il suo coraggio virile. Cercai, certo, di incontrarlo in combattimento per ammazzarlo senza naturalmente aspettarmi altro da parte sua. Mai, però, ne ho pensato male. Quando, più tardi, ebbi prigionieri nelle mie mani, mi sentii sempre responsabile della loro sicurezza e cercai di fare per loro tutto quello che era nelle mie possibilità» (p. 66).
Martin Heidegger (1889-1976), considerato il maggior esponente dell’esistenzialismo ontologico e fenomenologico, giudica l’atteggiamento di Jünger verso la storia presente come un’interpretazione corretta della realtà contemporanea: «Il passaggio, cioè, ad una nuova forma di consapevolezza di fronte ai problemi storico-politici del presente, con il congedo definitivo da ogni vagheggiamento di un impossibile ritorno all’Ancien Régime e a quell’ordine aristocratico-borghese che aveva preceduto la Prima guerra mondiale» (S. Azzalà, Ernst Jünger: l’Arbeiter, la guerra e l’incanto della razionalizzazione, p. 95).

IL PROGRESSO NON È PROGRESSO

Per Jünger il primo conflitto mondiale è l’evento storico decisivo del Novecento, non perché confronto tra le nazioni e le ambizioni delle loro classi dirigenti, bensì perché non assimilabile ai precedenti conflitti. Nella prima guerra mondiale, così come come nelle rivoluzioni che l’hanno accompagnata e seguita, ma più in generale la «rivoluzione mondiale» che nella sua essenza sembra annunciarsi: «[…] il “genio della guerra” si è completamente “compenetrato” allo “spirito del progresso”. Proprio la guerra e la rivoluzione, anzi, hanno per la prima volta rivelato il vero volto del progresso, strappando questo concetto all’incanto della retorica ottimistica, pacifistica e umanitaria che ne aveva fatto il coronamento dell’ideologia borghese del XIX secolo e del suo universalismo razionalistico» (Azzalà, p. 96).
Questo progresso non è quella promessa di «benessere collettivo» fattasi «grande religione popolare del XIX secolo, l’unica che goda di effettiva autorità e di acritica fede», è un qualcosa di diverso e sotterraneo, contiene un significato occulto e reso inaccessibile grazie alla «maschera… della ragione» un’«eccellente copertura» che già il primo conflitto mondiale (e quelli successivi) hanno svelato, facendo emergere, secondo Jünger, «l’autentico fattore morale» del suo tempo e di quelli a venire, un che di maligno e demoniaco.

LA SOCIETÀ DI MASSA

In definitiva, Nelle tempeste d’acciaio è un bruciante “diario di vita e di morte” che non riporta fedelmente solo atti e scenari di guerra, non già solo pallottole, esplosioni e mutilazioni, ma anche il tramonto della guerra limitata e parziale in favore di un nuovo tipo di conflitto di natura totale e collettiva, contestualmente al farsi definitivo del presidio della «democrazia nazionale», un nuovo tipo di guerra che coinvolge nell’armamento: «le forme astratte dello spirito, del denaro, del “popolo”» e genera nell’uomo libero il «disagio della modernità». Così nasce la società di massa, incubata dal processo di industrializzazione, che dal piano materiale invade, inesorabilmente, quello della coscienza, annientando il pensiero libero: «Quando la vita sociale diventa tutta “energia”, perché la nuova economia capitalistica la scioglie da tutti i vincoli della società tradizionale con i suoi residui premoderni, abbattendo gerarchie e consuetudini, “l’atto della mobilitazione” diventa “sempre più radicale”», e tutto diventa guerra, collettivismo, adesione, mobilitazione totale. La prima guerra mondiale ha ucciso l’uomo antico, libero e padrone della sua coscienza, e ha partorito la massa.

Bibliografia

  • Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, Guanda, Parma, 1990. Nuova edizione: 1995. Traduzione di Giorgio Zampaglione. Introduzione di Giorgio Zampa. Collana “Biblioteca della Fenice”. Prima edizione: “In Stahlgewittern”, Leisnig i.S., 1920. It: 1961.
  • Ernst Jünger, La mobilitazione totale, trad. it. di Carlo Galli, «il Mulino» 5, 1985, pp. 753-70; ed. orig. Die totale Mobilmachung, in Id. (a cura di), Krieg und Krieger, Junker und Dünnhaupt, Berlin 1930; poi in opuscolo autonomo, Verlag für Zeitkritik, Berlin 1931; poi in Blätter und Steine, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg
    1934; poi via via riveduta in varie edizioni fino al 1980: Sämtliche Werke, Klett-Cotta, Stuttgart 1978 e sgg.
  • Ernst Jünger, L’operaio. Dominio e forma, trad. it. a cura di Quirino Principe, Guanda, Parma 1991; ed. orig. Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1932.
  • Carlo Galli, Al di là del progresso secondo Ernst Jünger: ‘magma vulcanico’ e ‘mondo di ghiaccio’, «il Mulino» 5, 1985.
  • Ferruccio Masini, E. Jünger: dall’‘Arbeiter’ all’‘anarca’, «il Mulino» 5, 1985.
  • S. Azzalà, Ernst Jünger: l’Arbeiter, la guerra e l’incanto della razionalizzazione, SU.B2 – FILOSOFIA PEDAGOGIA PSICOLOGIA, Pubblicato 07.12.2013, consultabile su <https://doi.org/10.14276/2464-9333.174>.
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