Eugenio Corti: l’innominabile scrittore

Addio montagna, patria, reggimento, addio mamma e primo amore, cantavano gli alpini. Cantavano e piangevano gli alpini valorosi, e c’era nel loro canto paziente lo struggimento della nostra umana impotenza.
[Eugenio Corti]

Gli scritti di  Eugenio Corti (1921-2014), Il cavallo rosso (1983) in particolare, uniscono saggio e narrativa in un susseguirsi di fatto storico e racconto; la narrazione non si riduce a una questione estetica, perché è testimonianza del vero.

L’esperienza di soldato e la scrittura di guerra

Eugenio Corti durante le esercitazioni militari

Nato nel gennaio 1921 a Besana in Brianza, primo di dieci figli, nel febbraio 1941 Corti si reca alla caserma del Ventunesimo reggimento artiglieria divisionale a Piacenza, dove si addestra per sei mesi; per altrettanti sarà alla Scuola allievi ufficiali di Moncalieri, a Torino, dalla quale uscirà con il grado di sottotenente. La guerra avanza, le lettere alla famiglia segnano il passo del suo progredire spirituale e materiale nel disumanizzante conflitto bellico. A quel punto si annida in lui un’idea sconvolgente per chi lo circonda: vuole andare in Russia, e vuole andarci per toccare con mano la realtà del Comunismo. Prega Dio e supplica i suoi superiori di consentirgli quell’esperienza, vuole vedere di persona in cosa consista il «gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo, completamente svincolato da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti» (la stessa pulsione intellettuale e spirituale che porterà Michele Tintori, uno dei protagonisti de Il Cavallo Rosso, nei gulag sovietici).

Il fronte russo

Eugenio Corti in Russia – 1942

Il sottotenente Corti viene accontentato e raggiunge il fronte russo nel giugno del 1942. Segue un periodo relativamente tranquillo, fino al 16 dicembre, quando inizia la «terribile ritirata» e il Corpo di armata presso il quale è distaccato resta prigioniero in una sacca. Lo scrittore racconta l’esperienza nelle lettere dalla Russia spedite a familiari ed amici tra il 1942 e il 1943 (E. Corti, Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares, Milano, 2015) e nel diario-cronaca I più non ritornano – capace di impressionare anche il severo Benedetto Croce, che scrisse in proposito parole di profondo encomio – nel quale si intrecciano già, in inquadrature di penetrante realismo, i primi fili poetici e stilistici di quello che sarà il suo più grande capolavoro, costruendo una trama che non è una trama, un saggio che non è un saggio, una narrativa che non è narrativa, in un’indagine letteraria oltre i confini da sempre tracciati del vero e del falso storico; pagine segnate dall’esperienza personale che Corti riesce a universalizzare, innestandole nell’esperienza del Male, in un fronte di guerra che diventa non più solo battaglia geograficamente individuabile, ma umanamente trasfigurabile nel grande mistero del dolore che riguarda ciascun individuo.

La guerra e il comunismo

La guerra e l’avvenuto incontro con il comunismo sono uno spartiacque definitivo: tutto ciò che prima aveva un valore motivante, è diventato poco più che niente. Per questo Corti affronta la vita con una leggerezza diversa e con una consapevolezza ora potente, ineluttabile, quella di scrivere, di dare forma alla «trama del vero».  Dagli anni Cinquanta in poi si dedica alla studio del comunismo come tentativo ideologico di costruire una società contro l’uomo. Dopo aver scritto nei primi diari il resoconto di quanto accaduto sul fronte di guerra in Russia, decide ora di portare avanti la trama del vero attraverso scritti che possano mettere in luce in modo efficace la verità sugli orrori perpetrati dall’attuazione delle teorie marxiste.

Processo e morte di Stalin

Nasce la discussa, problematica, inaccettabile opera teatrale Processo e morte di Stalin, causa del primo vero ostracismo da parte degli intellettuali italiani e del sorgere di immediati barriere, issate in modo sistematico e premeditato dalla cultura di sinistra; e non solo. Iniziano per lo scrittore gli anni dell’isolamento e delle tensioni alimentate dalle sue posizioni anticomuniste, mal viste dalla dominante culturale: «Da l’Unità l’autore riceve addirittura l’accusa di essere un corruttore dei giovani attori, in quanto l’opera metterebbe a repentaglio le giovani psicologie» (Ag. Sa., Le prime, L’Unità, 4-4-1962, p.5). I giornali non danno eco a Processo e morte di Stalin se non per denigrare lo scrittore cattolico che di lì a poco verrà escluso dai grandi mezzi della comunicazione di massa.

Una barricata politico-culturale

Ancora oggi, Corti non appare, non viene citato, ma i suoi scritti continuano a essere stampati e letti, andando anche oltre confine. Alla fine degli anni Sessanta inizia la stesura di quello che sarà il suo capolavoro: Il cavallo rosso, che diventa in breve un caso letterario «uno dei più significativi degli anni Ottanta» (F. Livi, Préface a E. Corti, Le cheval rouge, Lausanne-Paris, p. 8).
Nel 2010 un popolo di lettori impetra la sua candidatura al Premio Nobel, ma Corti è uno scrittore «scorretto, inaccettabile, improponibile» e un riconoscimento così alto, pur fra i tanti civici che ha ricevuto, avrebbe spezzato l’inqualificabile silenzio che ha accompagnato la sua persona e la sua opera fino alla morte, il 4 febbraio 2014.

Bibliografia

  • Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, 2015.
  • Eugenio Corti, Processo e morte di Stalin, Edizioni Ares, 2010.
  • Eugenio Corti, I più non ritornano. Diario di ventotto giorni in una sacca sul fronte russo. Inverno 1942-1943, Ugo Mursia Editore, 2004.
  • Eugenio Corti, Gli ultimi soldati del re, Edizioni Ares, 2015.
  • Eugenio Corti, Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares, 2015.
  • Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002.
  • F. Livi, Préface a E. Corti, Le cheval rouge, Lausanne-Paris.
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