«C’è un efficacissimo racconto di Bruce Sterling (1954) – scrittore anche sotto lo pseudonimo di  Vincent Omniaveritas – intitolato Chernobyl neurale che dona una dimensione narrativa alla sensazione sotterranea di spaesamento, di viaggio notturno verso il caos. L’incidente imprevisto (Chernobyl, ma anche Bhopal, la petroliera Exxon Valdez o il gas nervino nella metropolitana di Tokio) sono in agguato dentro la vostra TV spenta solo provvisoriamente o sulla prima pagina del giornale che leggerete tra una settimana. Il problema per noi che viviamo dentro questo treno in corsa è di riuscire a immaginare l’inimmaginabile, convivere con l’assurdo, prendere posizione sull’imprevedibile» [Morte e trasfigurazione del cyberpunk, su LN – Libri Nuovi, 1996-2002]. Se la Fantascienza è la letteratura del “possibile” il cyberpunk è la letteratura dell'”invasione”, in cui i rapporti tra protagonista e situazioni sono complessi, ambigui, l’integrità corporea e intellettuale sono perennemente a rischio, anche per via degli innesti cibenetici, agenti operanti di una tecnologia che non solo è usata dai soggetti, ma li usa per esistere essa stessa e invadere. Le regole nel mondo cyberpunk, in quello Sprawl che William Gibson (1948) ben descrive, sono spesso ignote e indefinibili.

I TERRITORI DEL CYBERPUNK

I territori del cyberpunk sono difficili, bisogna essere opportunamente equipaggiati sia come autori che come lettori. Il genere offre una forma di espressione intrinsecamente potente. Attraverso l’uso di ambientazioni distopiche, tecnologie avanzate e società controllate da corporazioni, crea una lente attraverso cui esplorare le contraddizioni sociali, le disseziona e le racconta. Le opere cyberpunk mettono in luce la sfrenata crescita tecnologica, la disumanizzazione, la divisione tra classi sociali e il declino morale, offrendo spunti di riflessione sul nostro presente e sul possibile futuro. È un genere che può essere affrontato solo da autori «dotati di sensibilità […] nel leggere la relazione tra l’uomo, le nuove tecnologie informatiche, le intelligenze artificiali e la rete. La realtà virtuale, nelle loro storie, è cosa concreta, la tecnologia invade le menti e si vive in mondi futuribili spesso distopici, megalopoli […] ipercontrollate e iperconnesse, mentre il collasso ambientale è ben visibile, tra multinazionali spietate e “cowboy” o fuorilegge di vario tipo che cercano un loro spazio lottando o fuggendo, usando droghe sintetiche, “mangiando” codice sotto luci al neon e piogge acide» [ Alberto Sebastiani, La miniera lessicale del cyberpunk, su Treccani, 28 ottobre 2021].

LE ORIGINI

Quasi tutti, vedono in Gibson (Johnny Mnemonic, 1981) e  Bruce Bethke (Cyberpunk 1983) gli iniziatori del genere. Bethke sarebbe anche il padre del termine “cyberpunk”,  poi usato da Gardner Dozois (1984) sul “Washington Post” per indicare gli autori della rivista “Cheap Truth”: Sterling, Gibson, Rucker, Shiner, Shirley: «Da lì diventa un’etichetta, un composto di cybernetics e punk, una parola macedonia per individuare un movimento artistico dirompente, quindi con una caratterizzazione anche politica, nell’era della rivoluzione informatica». Ma al di là delle pubblicità editoriali e dei formalismi, il cyberpunk è molto di più e proprio per sua stessa natura non è facilmente inquadrabile e sfugge al controllo dei target da mercato del libro. Il termine “cyberpunk” non è solo letterario, è politico e sociale, denota un rapporto organico con la tecnologia che è molto più della semplice narrazione e implica la presenza del reale più che dell’ipotesi. Il transumanesimo osannato da orde di transmaniaci trova in questi racconti la sua spiegazione e la sua deriva, la paura e l’ossessione, come già presagiva Shirley in Transmaniacon (1979).

IL TALENTO CHE PORTA OLTRE

Benché di nicchia – e altamente complesso per autori e lettori, perché evocativo di processi di decodifica narrativa più che articolati – diversi autori anche oggi si misurano con il genere. Nel romanzo Root Legacy di Michael B. Morgan, l’autore affronta tematiche che rispecchiano i principi fondamentali del cyberpunk, ma trascina il lettore oltre, gli chiede di liberarsi dall’ossessione computazionale ed esplorare l’importanza del retaggio e del ritorno alla verità dell’esistenza, sottolineando l’eredità di valori e umanità che ognuno di noi deve preservare. Lo scrittore italo-americano offre un’interpretazione che mantiene al centro il conflitto tra l’individuo e una società corrotta quanto invasa dalla tecnologia, ma, a differenza di molti altri scrittori del genere che osservano e raccontano di implosioni psichiche senza ritorno, Morgan propone un panorama risolutivo, una via di uscita, se non fuga. Un aspetto distintivo del romanzo è, infatti, l’introduzione di elementi della fisica quantistica come l’entanglement, un fenomeno in cui due particelle si correlano istantaneamente tra loro, indipendentemente dalla distanza che le separa. Ed ecco il senso della via di uscita dalla psicosi collettiva: l’entanglement è metafora per sottolineare la connessione invisibile tra gli individui e il modo in cui le loro azioni si ripercuotono l’una sull’altra, riuscendo a comprimere il passato, il presente e il futuro e motivando scelte che vanno oltre il singolo e diventano generazionali.

IL RETAGGIO

In Root Legacy il senso di perduto e di incontenibile – rispetto soprattutto al flusso di dati che nessun uomo più controllare senza l’apporto delle macchine, le quali in realtà, dice Morgan, lo iper-generano – non stabilisce l’unico confine possibile. La marginalità dell’essere umano, rispetto al transumano, ritrova spazio di azione nelle terre di confine, zone a settori che preservano in qualche modo l’identità perduta. Qui, il protagonista, l’hacker Net, torna con la mente riagganciandosi al suo passato incarnato in una sorta di ninfa dei boschi, Deva, figura femminile che è grembo di umanità e sentimento. Il viaggio della coscienza è liminale, ma si fa più significativo mano a mano che il cervello di Net elabora la presenza dello Swarm, una AI neuromorfica, frutto di un adattamento della tecnologia al cervello umano, impiantata in lui dal padre, Ian Larson, brillante scienziato inventore di una nuova tecnologia di tipo adattivo. La simbiosi tra uomo e macchina può essere la soluzione? Morgan non fornisce risposte, ma accenna a  una strada, mostra la soglia, come è caro a tutti cultori del più classico Matrix, e sussurra un monito che aleggia in ogni pagina del libro: senza memoria del passato non può esistere futuro.

Bibliografia

  • Booker, M. Keith. The Dystopian Impulse in Modern Literature: Fiction as Social Criticism. Greenwood Press, 1994.
  • Broderick, Damien. Reading by Starlight: Postmodern Science Fiction. Routledge, 1995.
  • Bukatman, Scott. Terminal Identity: The Virtual Subject in Postmodern Science Fiction. Duke University Press, 1993.
  • Csicsery-Ronay, Jr., Istvan. The Seven Beauties of Science Fiction. Wesleyan University Press, 2008.
  • Delany, Samuel R. Starboard Wine: More Notes on the Language of Science Fiction. Wesleyan University Press, 2012.
  • Latham, Rob. The Oxford Handbook of Science Fiction. Oxford University Press, 2014.
  • McCaffery, Larry. Storming the Reality Studio: A Casebook of Cyberpunk and Postmodern Science Fiction. Duke University Press, 1993.
  • Stableford, Brian. The Poetics of Science Fiction. Liverpool University Press, 2011.
  • Stone, Allucquère Rosanne. The War of Desire and Technology at the Close of the Mechanical Age. MIT Press, 1996.
  • Tofts, Darren, Annemarie Jonson e Alessio Cavallaro (a cura di). Prefiguring Cyberculture: An Intellectual History. MIT Press, 2002.
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