Parliamo di scrittura e scrittori. So già che sto per affrontare un argomento spinoso, anche perché siamo tutti propensi a raccogliere consigli sul nostro grande potenziale, sull’espansione dell’Io promesso, un po’ meno sul cosa, invece, dovremmo evitare di fare, semplicemente perché il fatto che ci piaccia farlo non rende lecita qualunque appropriazione di funzione e ruolo. Inoltre, oggi è la spinta al sentirsi eccezionali che domina (speciali in qualunque senso possibile), di contro la normalità è diventata una patologia. Oltretutto, l’attuale democratizzazione del concetto di “scrittore” fa diventare cattivi tutti quelli che cercano di operare dei distinguo, ma pazienza. Nel 2011 Alfonso Berardinelli (1943-) pubblicava con Marsilio il saggio di critica letteraria Non incoraggiate il romanzo, excursus critico e intelligente sulla narrativa italiana, ma possiamo dire, senza tema di smentita, che la sua analisi dello stato del mercato editoriale e della salute della ex nobile arte della narrativa possa applicarsi, in modo più universale, all’editoria mondiale. Il libro raccoglie una serie di saggi di critica letteraria dedicati a vari autori e opere, ma nelle primissime pagine, l’autore scriveva:

[...] Dunque le librerie traboccano di nuova narrativa, ma i recensori, anche i più solerti, riescono a digerirne solo una parte. I teorici della letteratura e i narratologi sono ammutoliti da tempo. Gli storiografi sono soffocati «dall'angoscia della quantità» [...]. Sta di fatto che il romanzo, genere oggi più merceologico che letterario, monopolizza un'opinione pubblica più estesa e meno colta.

SCRITTORI SI NASCE?

Facciamo un passo indietro. Permettetemi di attingere alla mia esperienza personale recente, benché radicata in tanti anni di lavoro con gli autori, i manoscritti, la lettura, la formazione, il coaching editoriale, i corsi di scrittura e avanti così. Negli ultimi mesi ho avuto modo di interfacciarmi con i bambini di una scuola primaria, su richiesta delle maestre e dei genitori. Lo scopo era quello di potenziare il rapporto con la scrittura dei giovani allievi e la loro padronanza nella gestione del processo narrativo. Ho accettato perché lavorare con i più piccoli mi piace, la loro purezza nel guardare al mondo è quanto di più prezioso un adulto possa avere come fonte di ispirazione a cui attingere. Ebbene, ogni volta che il processo creativo veniva opportunamente attivato (immagini, storie, frasi, ricordi…) i bambini erano perfettamente in grado di produrre delle storie, narrando i fatti attraverso le funzioni narrative fittizie, ovvero i personaggi; ed erano molto felici di raccontare, tuttavia non meravigliati di riuscirci. La meraviglia era tutta di maestri e genitori, questi ultimi particolarmente lieti di intravedere, ciascuno nel proprio figlio/figlia, il potenziale di uno scrittore.

POCHI SCRITTORI TUTTI NARRATORI

Forse sono stata un po’ crudele quando ho smorzato l’entusiasmo di questi adulti, facendo loro notare, pur con la dovuta dolcezza e prudenza (sono madre anch’io) che la propensione a narrare dei bambini – anche e soprattutto a sette, otto, nove, dieci anni – non ha proprio niente di eccezionale e che non si tratta di un prodromo a un futuro scenario da scrittori, è semplicemente il modo in cui noi esseri umani proviamo a capire noi stessi e il mondo che ci circonda. I bambini si entusiasmavano mentre raccontavano le loro storie, soprattutto perché c’era qualcuno ad ascoltarli, ma al semplice accenno al metterle per iscritto iniziava la rivolta, per fortuna, aggiungerei io. Certamente erano piccoli e i meccanismi della scrittura sono faticosi, anche perché scrivere non è un atto naturale ma acquisito, è il narrare a essere un atto naturale. Tutti narriamo e lo facciamo da quando ci svegliamo a quando ci corichiamo. Ogni incontro con gli altri è un atto narrativo, inteso come gestione di informazioni a cui assegnare un significato per incardinarle nel nostro vissuto; tuttavia, narrare è anche un atto comunicativo: ci relazioniamo con gli altri raccontando cose di noi, del mondo, del passato, del presente, del futuro. Per questo ci gratifica essere ascoltati o letti, è nella relazione e nel confronto con gli altri che la narrazione diventa veritiera e il significato delle storie si attiva per ciò che è: un’attività umana che lega tra loro degli esseri umani. Poi c’è anche il lato economico.

IL LIBRO INTERIORE

Quei bambini hanno avuto la possibilità di inventare storie che condensassero delle idee sgorgate nel loro intimo di esseri umani, mettendole in collegamento con la loro esperienza del mondo – spesso emotiva. Ecco che una favola ascoltata da piccolissimi, un film visto al cinema con i genitori, una condivisione con i compagni, i livelli di un videogame, un’avventura di Geronimo Stilton (per citare un personaggio caro ai bambini), ma anche dei romanzi letti con l’aiuto degli adulti o da soli, hanno formato quel libro interiore (per dirla alla Pierre Bayard) a cui i giovanissimi narratori hanno potuto attingere per amplificare la narrazione personale. Siamo esseri umani e in quanto tali raccontiamo storie in un flusso ininterrotto che ci collega al resto del genere umano in ogni tempo e luogo. Ebbene, l’urgenza e l’esigenza, anche poderose e incessanti, di raccontare delle storie non fanno necessariamente di noi degli scrittori.

UNA POSSIBILE VIA DI COMPRENSIONE DEL COSA FANNO I VERI SCRITTORI

L’urgenza di un narratore è esistenziale ed emotiva, ma molto spesso si esaurisce quando quella situazione esistenziale e quella fase emotiva diluiscono in altro oppure si risolvono. Mi direte: «Anche uno scrittore può sfruttare una determinata situazione esistenziale e uno scenario emotivo determinato per scrivere un romanzo», certamente, anzi, è uno dei motori del processo creativo, ma uno scrittore non fa solo questo. A differenza di quanto si possa pensare, gli scrittori non vivono solo di spinte emotive, il loro è un mestiere atto a sollevare la singola istanza narrativa a generatore di significati universali. Se ognuno di noi lega la sua storia a tutte le storie del mondo è anche perché ci sono stati scrittori a far da ponte tra le diverse narrazioni, allacciandole in un unicum universale. La narrazione universale non può esaurirsi in un processo ego-riferito, con il solo scopo di dare soddisfazione a un bisogno individuale (pubblicare un libro vuol dire di per sé renderlo di pubblico dominio). Però è quello che sta accadendo, parliamoci chiaramente: molte opere di narrativa oggi sono scritte male, brutte, poco originali, ripetitive, scorrette, per non dire oscene. Bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che non tutto dovrebbe essere pubblicato, non tutto è universale, non tutto è lecito, non tutto è letteratura, non tutto val la pena di essere letto:

L'attuale sovrapproduzione di narrativa dà perciò l'impressione di essere più un segno di patologia che di salute. La quantità è soverchiante e crea una letteratura senza forma e senza confini che vanifica l'efficacia della critica e nel suo insieme si sottrae a ogni definizione.
(Berardinelli).

SCRIVERE FUORI DALLA CORRENTE

I vividi squarci immaginifici che popolano la mente di uno scrittore prendono naturalmente forma di parola, in modo diverso, a volte inconciliabile, per ogni scrittore, magari con divorante ossessività ermeneutica, oppure con disarmante schiettezza colloquiale, od ancora con una carnalità che respinge qualunque intellettualismo, e via dicendo. Ogni scrittore che si rispetti ha una voce unica, magari altri autori hanno esercitato o esercitano influenza su di lui, ma la dimensione dello stile personale è un apice di grandezza. Traguardo che si raggiunge solo con allenamento e sacrificio, inutile illudersi: i veri scrittori hanno qualcosa che scintilla tra le parole, un’eco inconfondibile che richiama i lettori arguti, e non sono influenzabili, questi e quelli, dalla voce delle ingannevoli sirene appollaiate sulle scogliere rilucenti del pensiero unico.
La battaglia di chi scrive non è quasi mai legata al non saper cosa scrivere, ma al voler trovare la giusta forma per quel pensiero che invade la mente e profana, a volte brutalmente, la sua pace quotidiana. Lavorando con dei veri scrittori ho capito che la scrittura è un processo interiore ossessivo e ossessionante, ma non per questo dovrebbe essere confuso con una più vaga esigenza di espressione del sé o, addirittura, dei molti sé che popolano un’identità (quindi bisognosa, magari, di percorsi di scrittura che sia anche terapia e qui prevedo già le alzate di scudi di molti psicologici e operatori del settore, ma anche l’appoggio di chi sa davvero di cosa stiamo parlando).

L’ESSENZA DELLO SCRIVERE

La scrittura è molto di più di uno slancio emotivo per uno scrittore, è essenza dell’esistere, ed è legata davvero a qualcosa di alto e fondamentale: la narrazione che accomuna lo scrittore a qualunque altro essere umano. Non si tratta di scrivere di storie, si tratta di lottare con le parole, con le frasi, con le sequenze, con i dialoghi non già per stupire qualcuno, ma per imprimervi la trama del vero, come diceva Eugenio Corti (1921-2014). Scrivere bene non vuol dire essere scrittori, magari vuol dire essere sulla buona strada per diventarlo, ma c’è molto di più nella scrittura. Prima di tutto, uno scrittore non fa tutta la fatica che fa solo per liberarsi da dilemmi emotivi e fratture esistenziali, lo fa per comunicare: il suo istinto è costruire relazioni prima ancora che liberare emozioni. Comunicare non vuol dire ostentare, anche se splendide descrizioni e struggenti passaggi introspettivi sono potenti richiami emotivi, perché scrivere non è ostentare conoscenza o bravura, non è una questione di guadagnare cinque stelle sul palmares per sentirsi gratificati, si tratta piuttosto di compendiare i tanti significati del mondo in una singola storia, scegliendo ciò che per quei particolari personaggi (e dunque per l’autore e per il lettore) ha più significato in quel momento. Uno scrittore non usa le parole per stupire bensì per rivelare.

LA DEMOCRAZIA LETTERARIA DI MASSA

In un mondo in cui le librerie (anche online) traboccano di narrativa di consumo e in cui la memoria letteraria si esaurisce nel mero intrattenimento (che pure ha indubbiamente il suo significato economico) bisognerebbe forse fermarsi a riflettere sul valore vero della scrittura. Molti oggi scrivono perché spinti da qualcosa che non riescono a definire, quasi per sentirsi meglio, ma allora è più una terapia personale che altro e, infatti, si esaurisce quasi sempre con il passaggio a un nuovo scenario esistenziale o processo emotivo (queste benedette pagine bianche contro cui tanti vanno a sbattere). Si può scrivere per stare meglio, per dare forma a storie che frullano nella testa, per mettere ordine nella propria esistenza, ma essere scrittori è un’altra cosa. Il problema è che viviamo in una democrazia letteraria di massa che vanifica l’autorità di qualunque tipo di critica e discernimento sul cosa voglia dire davvero essere scrittori. Ciò è causato da un lato dalla facilità con cui si viene pubblicati tramite innumerevoli canali più o meno convenienti (si potrebbe aprire una parentesi sui tipi di editoria a pagamento, a doppio binario, con acquisto copie…), dall’altro dalla fallace percezione di quanto scrivere sia facile, soprattutto con l’uso di computer e supporti digitali, per non parlare delle intelligenze artificiali che oggi generano testi, utilizzabili da chiunque e in qualunque momento.

IL GIUSTO DISCERNIMENTO

Insomma, la narrativa contemporanea è stata liberalizzata al punto da essere sottratta a qualunque tipo di definizione e giudizio. Ecco che un bambino che racconta una storia, seguendo un istinto più che naturale per un essere umano, diventa un potenziale scrittore agli occhi degli adulti che lo osservano. Magari qualcuno di quei bambini arriverà a scrivere grandi romanzi, ma sarebbe opportuno affiancarli in un percorso di scoperta di se stessi più che appesantire il loro viaggio con la zavorra di aspettative tendenziali che, alla lunga, farebbero loro smarrire la strada. Ho conosciuto troppi aspiranti scrittori tormentati dalla fatica di scrivere, dall’ansia di prestazione e dalla fobia di non-realizzazione, come se essere scrittori e pubblicare fosse un obbligo morale o uno status sociale da raggiungere. Tranquillizziamoci tutti, per fortuna non siamo chiamati a diventare tutti scrittori, possiamo esprimerci in molti altri modi nella vita, basta cercarli. Operare il giusto discernimento su noi stessi è indispensabile, dunque prendiamo a due mani il coraggio e facciamolo: non ci riesce di scrivere un romanzo e pubblicarlo? Bene, dedichiamoci ad altro.

RITROVARE L’EQUILIBRIO

Io posso solo dire che, dopo tanti anni in questo strano mondo editoriale, ho conosciuto tantissimi narratori che mi hanno proposto i loro manoscritti, romanzi, racconti, ma davvero, e posso garantirlo, tra questi ho incontrato pochissimi scrittori, magari molti ottimi social media marketer, ma pochissimi scrittori. È male? No, è un bene, vuol dire che la letteratura e la scrittura sono ancora quel che dovrebbero essere, anche se soverchiate dalla massa straboccante delle pubblicazioni. Non forzate nessuno a voler essere scrittore e non forzate voi stessi a diventarlo. Narrate le vostre storie, è giusto che sia così, se la strada della scrittura vi appartiene vi ritroverete nel bel mezzo del sentiero, insieme ad altri come voi. Perché, è bene saperlo, gli scrittori sono anime inquiete, sfuggenti, ricche e imprendibili e se ne stanno ben al di fuori del mercato editoriale di massa.

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