Tanti braccialetti al polso, sneaker di tendenza ai piedi, felpe al posto delle giacche, smartphone di ultima generazione per gestire le App e i gruppi WhatsApp, che aprono per qualunque cosa (gli amici della palestra, gli amici del bar, gli amici del parkour e del circolo di psico terapia, gli amici della pizza del sabato, gli amici dello streaming twitch del mercoledì, gli amici di Netflix…), perché sono gli individui più social e pieni di amici della storia dell’umanità. Spesso sono genitori di cani e gatti (ma non chiamatela antropomorfizzazione), vanno ai concerti degli artisti del momento (tanto c’è Spotify che decide quali sono gli artisti del momento) e quando sono al concerto passano metà del tempo a girare video da postare su IG e TikTok (o altro). Controllano in quanti hanno visto la Storia su IG e chi ha messo like al post per decidere chi smettere di followare. Non credono nell’aldilà perché non sono superstiziosi, però consultano i tarocchi e praticano l’animismo come fosse uno sport nazionale. Non sono quasi mai interessati alla politica ma sono politicamente corretti, usano i trasporti smart e invece del bird-watching praticano il binge-watching. Frequentano corsi per qualunque cosa, hanno curriculum pieni di certificazioni, lo psicologo è il loro miglior amico, denunciano il body shaming ma sono vigoressici, sorridono nel selfie ma sono depressi. Vanno in palestra per praticare il culto dello spinnig soulcycle, non vanno in chiesa perché sono ribelli al culto; non amano le etichette ma si ricoprono di tatuaggi. Non si può far parte del loro gruppo se non si gamifica, non si passa qualche nottata a fare vamping, se non sei iperreale, se quando saluti non ti scappa un bro, bella o bella zi‘. Il tipo che ti piace è un crush, ma attenzione che potrebbe essere un incel, l’importante è non farlo triggerare, per non sbagliarti fai un recap.
È esagerato? Forse sì e forse no.

UNA VOLTA ERANO “BAMBOCCIONI”

Nel film Tanguy (Francia 2001), il protagonista è un giovane ventottenne a un passo dalla laurea, capace di comunicare in cinese e giapponese, appassionato di filosofia orientale. Vive con i suoi genitori e progetta una vita di successi lavorativi a Pechino, avventura che dovrebbe iniziare poco dopo aver discusso la tesi. Eppure, quando manca un mese alla sospirata laurea, Tanguy procrastina tutto e comunica ai genitori che aspetterà un anno per iniziare la sua vita autonoma. Sul fronte sentimentale, il giovane non sa decidersi sul cosa provi davvero per la sua ragazza, con la quale condivide una relazione pervasa di istrionismo emotivo e contrasti, intanto imbastisce relazioni superficiali e occasionali con altre. I genitori di lui, Edith e Paul, mettono in campo qualunque strategia possibile per indurlo ad andarsene e a entrare finalmente nell’età adulta, fino quasi al parossismo. Per fortuna, alla fine il figlio si decide per la partenza, lascia la casa paterna, si trasferisce a Pechino e qui inizia una nuova vita. Quando i genitori andranno a trovarlo, troveranno finalmente un adulto in attesa di diventare padre. Finisce sempre così?

ADULTESCENZA: ADOLESCENTI NEL CORPO DI UN ADULTO

Adultescenza (kidadult nel mondo anglosassone) è un neologismo, crasi di due termini facilmente intuibili, che individua donne e uomini la cui identità presenta ancora i tipici tratti di immaturità emotiva e sociale degli adolescenti, pur avendo raggiunto un’età crono-biologica adulta. «Una delle prime apparizioni [del termine] risale al 1997 ed è rintracciabile in un pezzo che, passando in rassegna i cento neologismi inglesi più comuni di quell’anno, catalogati dall’Oxford English Dictionary, si sofferma, appunto, su adultescent: “Adultescent […] designa un adulto giovanilista tra i 35 e i 45 anni con una fissazione per la cultura degli adolescenti…», ma anche: «[…] una nuova figura umana, quella dell’adultescente, cioè dell’adulto che vuol restare sconsideratamente bambino, mentre i bambini, a loro volta, diventano grandi perché vedono, sentono e fanno più o meno le stesse cose dei loro genitori»; oppure: «neologismo usato per indicare i giovani trentenni le cui condizioni di vita (studio, lavoro, casa) e la cui mentalità sono considerate simili a quelle di un adolescente. Un’evoluzione della Sindrome di Peter Pan, malattia inguaribile dell’Occidente.»  [Marescotti, 2014].

ORIGINI DEL TERMINE

Il termine circola negli Stati Uniti già dagli anni Ottanta, legato agli studi sulla Sindrome di Peter Pan (Dan Kiley, The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up, 1983); in Francia sono adulescent (adulte e adolescent), e ormai il concetto è diventato un riferimento preciso per gli studiosi del fenomeno, che non di rado individuano in questa situazione una vera e propria crisi sociale o, comunque, uno stadio evolutivo nuovo, probabilmente irreversibile, che è tipico del mondo comunemente definito occidentale e che porta a un protrarsi patologico dell’adolescenza, quella fase della vita umana che va più o meno dagli undici ai vent’anni anni, segnata da profondi mutamenti e turbamenti sul piano biologico, psicologico e sociale. Stati d’ansia, incertezza verso il futuro, incapacità di prendere decisioni stabili o di assumersi delle responsabilità, e così via. Ovviamente, per alcuni l’adultescenza sarebbe una normale conseguenza dell’evoluzione della specie umana verso nuove forme di organizzazione sociale, con il superamento degli stereotipi sociali tradizionali, l’affermazione di coppie non binarie, child free, interscambiabili, fluide eccetera.

CHI SONO GLI ADULTI ADOLESCENTI

Normalmente, il periodo adolescenziale dovrebbe servire da passaggio verso la vita adulta, per svincolarsi dal nucleo di origine grazie a un processo, anche tormentato, di separazione e di auto-affermazione. Se questo passaggio non viene attraversato allora avremo quasi sempre a che fare con adultescenti, cioé individui che pur avendo raggiunto un’età adulta si comportano ancora da ragazzini, incapaci di definire una scala di priorità matura e adulta. Nel suo Identikit di un adultescente (2019), la giornalista Antonella Matarrese ne discute con lo psicoterapeuta della Sapienza Massimo Ammaniti, rintracciando le caratteristiche tipiche di questi adulti ancora adolescenti, sottolineando che si tratta di giovani occidentali, che sul lavoro usano una dialettica piena di slang britannico e neologismi, vanno tre volte alla settimana in palestra, si concedono sauna e relax psico-emotivo ogni volta che possono (e poi postano la foto sui social per far sapere a tutti che si stanno rilassando), poké a pranzo, mangiano ogni volta che possono fuori casa,  la sera aperitivo con gli amici, leggono perché è emotivamente gratificante, valutano il social freezing perché non si sa mai a quarant’anni potrebbero avere voglia di figli, giocano ai videogiochi mentre sono connessi con gli amici, per poi passare a Netflix.

UNA VERA A PROPRIA METAMORFOSI SOCIALE

L’analisi da fare è profonda, spiega Ammaniti, non si parla di giovani che hanno paura di spiccare il volo, anche perché, spesso, sono persone che vivono da single, o convivono, che hanno posizioni di lavoro interessanti e ruoli importanti (ma quasi mai intesi come definitivi), ciò nonostante vivono nella paura di diventare grandi e di invecchiare, il che potrebbe anche essere normale (chi vorrebbe invecchiare?), ma diventa un problema dal momento che questo porta a un allungarsi della fase adolescenziale. Si tratta di adulti, anche oltre i 34 anni, che convivono con le turbe psico-emotive di adolescenti indecisi, sbalzi emotivi, ansia di prendere decisioni stabili e definitive, talvolta vincolati in qualche modo al perimetro della famiglia di origine; matrimonio e figli sono quasi inconcepibili, anche perché la maternità e la paternità sono percepiti come “bisogni personali da soddisfare” e non come “traguardi” da raggiungere per rendere più significativa l’esistenza in un contesto di comunità sociale, di cui la famiglia è il nucleo fondante.

SI TRATTA DI UNA MODA?

Ammaniti non nasconde il fatto che questo atteggiamento potrebbe non essere transitorio, ma legato a una nuova forma di pensiero e di culto del sé, perché c’è anche questa particolare componente narcisistica nell’adultescenza che la rende sostanzialmente diversa dalla classica Sindrome di Peter Pan rilevata da Kiley: «Il giovanilismo e il narcisismo, atteggiamenti fortemente sviluppati grazie ai social, sono alla base della caratterizzazione della figura dell’adultescente. […] Sul versante del narcisismo le spie sono tante: fare jogging, praticare lo yoga, inseguire la felicità come forma di realizzazione personale […] sono tutte pratiche legate alla costruzione di personalità egoriferite.» In pratica, una realizzazione concepita soltanto sul piano personale, che attenui le responsabilità nei confronti degli altri: l’Io prima di tutto, fino al culto del sé.

LA PARTE COMMERCIALE DEL FENOMENO

Come sempre, come quasi tutto ciò che ci travolge oggi, la questione è anche commerciale. Ecco che gli adultescenti sono diventati il target di un certo tipo di moda, con griffe che producono lo stile kidult (fatturato in crescita). E fin qui sarebbe anche banale (chi non ricorda i punk o gli hipster bohémien di seconda generazione?), se non fosse che l’adultescenza riguarda anche le attività ludiche, videogiochi, giochi di ruolo per adulti, libri gioco, giochi da tavolo con contenuti adulti, un mercato guarda caso in forte crescita e con guadagni milionari. Poi ci sono le produzioni musicali ed editoriali, come non pensare agli Young Adult, che propongono il dramma esistenziale di tipo adolescenziale sempre al centro della narrazione e che sono fra i romanzi più venduti in assoluto (declinati nei vari generi fantasy, urban fantasy, paranormal, romance…). Seguono le forme cinematografiche e televisive come Riverdale, Pretty Little Liars, Outer Banks, Stranger Things, Never Have I Ever, Locke & Key, The last of Us, per citarne alcune.

E PERFINO UN LINGUAGGIO ADULTESCENTE

Le considerazioni da fare sarebbero molte, la materia è vasta e gli studi si stanno moltiplicando, ma vale la pena fare ancora un piccolo riferimento alla lingua tipica degli adultescenti piena di vezzeggiativi, diminutivi, espressioni affettuose infantili, cuoricini simbolici, sigle, bacini, emoticon, meme demenziali perché ci si senta giovani, fluidi e creativi, ma, d’altro canto, anche l’uso di un linguaggio da ribelli, da portatori di nuove verità e nuove forme di esistenza, uomini e donne cupi e irrisolti, perennemente segnati da un destino straordinario e drammatico, mai allineati veramente con il mondo adulto e sempre in opposizione al raggiungimento di traguardi vissuti come non-reversibili (bisogna sempre poter tornare nel comodo rifugio dell’adolescenza terra di promesse e possibilità). Iperconnessi, sempre in cerca di visibilità e picchi di dopamina, spesso in una vita segnata dal bisogno compulsivo di attenzioni, ipersessualizzata e tendente a un certo istrionismo patologico e alla drammatizzazione e teatralizzazione di felicità e conflitti. E come scrisse Francis Scott Fitzgerald concludendo il Grande Gatsby: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».


Bibliografia utile

  • Antonella Matarrese, Identikit di un adultescente, Panorama 31 luglio 2019.
  • Elena Marescotti, Adultescenza: quid est? Identità personale, aspettative sociali ed educazione degli adulti, Università di Ferrara, giugno 2014.
  • Massimo Ammaniti, Adolescenti senza tempo, Raffaello Cortina Editore, 2018.
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