Come Alan Sokal svelò l’inganno del relativismo culturale

Siamo nel 1996. Sulla rivista di studi culturali Social Text, giornale accademico divulgato dalla Duke University Press, e nato nel 1979 dalle intenzioni di un collettivo editoriale indipendente, viene pubblicato un articolo firmato dal noto fisico Alan Sokal (1955): Transgressing the Boundaries: Toward a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity (La trasgressione dei confini: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica).

La terminologia utilizzata attinge, fin dal titolo, al sempre più ambiguo vocabolario del postmodernismo, particolarmente amato in ambito accademico americano e ormai ben oltre il nativo recinto della critica letteraria e filosofica. Le intenzioni espresse (ma come vedremo non quelle reali) dall’autore sarebbero quelle di indagare le implicazioni ideologiche, filosofiche e politiche delle nuove teorie e considerazioni della fisica contemporanea, con particolare riferimento alla gravità quantistica.

Il grande inganno di Sokal

L’articolo beffa di Sokal

Tali intenzioni vengono reputate attendibili dagli editori del Social Text, che decidono di pubblicare senza verificare l’impronta reale dal pezzo o accertarne i presupposti scientifici (una sorta di revisione cieca priva di qualunque forma di peer review) . Appropriandosi di formule tipiche dell’imperante relativismo culturale, sapientemente mescolate al gergo scientifico, Sokal sostiene che «la “realtà” fisica, non meno che la “realtà” sociale, è in fin dei conti una costruzione sociale e linguistica, lungi dall’essere oggettiva, riflette e codifica le ideologie dominanti e le relazioni di potere tipiche della cultura che l’ha generata» e aggiunge che «le verità della scienza sono intrinsecamente dipendenti dal contesto teorico usato e quindi autoreferenziali […] pur nel loro innegabile valore, non possono rivendicare una posizione conoscitiva privilegiata rispetto alle narrazioni controegemoniche che vengono prodotte in comunità dissidenti o marginalizzate» (Alan Sokal e Jean Bricmont, Imposture intellettuali, Garzanti, Milano 1999, p. 218).

Essendo, dunque, fintamente allineato al pensiero accademico relativista, e manifestando la modalità di transposizione terminologica e concettuale tipica degli adepti del postmodernismo, l’articolo viene letto e apprezzato, fino a quando l’autore stesso non svela la beffa rilasciando una dichiarazione in A Physicist Experiments with Cultural Studies, un contro-articolo pubblicato sulla rivista Lingua Franca, che svela la “truffa” e lo scopo parodico del primo.

Attacco al postmodernismo

Sokal e Bricmont

Il vero intento di Sokal, infatti, è quello di sbugiardare la temperie culturale dominante, denunciandone l’assurdità e l’evanescenza di metodi e contenuti fondati su arroganza intellettuale, vuota retorica, divagazione linguistica, superficialità, ignoranza, voluta incomprensibilità in cui «allusioni, metafore e giochi di parole sostituiscono la prova e la logica».

La protesta è contro la strumentalizzazione politico-ideologica tipica del relativismo, argomento che l’autore approfondisce insieme al collega belga Jean Bricmont (1952) nel libro Impostures Intellectuelles (1997), pubblicato sulla scia della polemica innescata con gli articoli , e nel quale i due analizzano i testi di alcuni dei padri fondatori del postmodernismo e del postumanesimo come Jacques Lacan (1901-1981), Jean Baudrillard (1929-2007) e anche Gilles Deleuze (1925-1995).

La denuncia di un abuso filosofico

L’analisi minuziosa delle loro opere evidenzierebbe, per Sokal e Bricmont, ricercata ambiguità espositiva, conoscenza superficiale degli ambiti scientifici saccheggiati, imitazione illogica e priva di contenuti del linguaggio scientifico e isolamento macchinoso di metafore tratte da contesti diversi, ponendole al di fuori del loro valore e significato originale, tutto con lo scopo di decostruire – e dunque negare – la realtà oggettiva per dare autorevolezza a un relativismo sfamato di autoritarismo filosofico. L’abuso dei significati scientifici genera così dei non significati, sollecitando la fluidità dei valori, dell’etica, dell’identità individuale, sociale, perfino sessuale.

Le analogie linguistiche – e concettuali – ricamate con innumerevoli stilemi retorici tra scienza, filosofia, sociologia, o anche psicologia, non sembrano essere altro, alla fine, che sovrascritture per dare autorevolezza a teorie che scientificamente non ne hanno, poiché prive di qualunque base empirica. Il risultato sarebbe un «minestrone di idee, spesso malamente formulate, che possono essere raggruppate sotto il nome di relativismo e che sono attualmente piuttosto influenti in alcuni settori accademici delle scienze umane e sociali» (Imposture intellettuali, op. cit. p. 58).

L’ambiguità del relativismo

Il problema è, però, che i testi postmodernisti accuratamente letti e smontati dagli autori di Imposture Intellettuali sono la base di gran parte della cultura contemporanea, dove sembra non esserci più un rapporto equanime fra l’idea e la realtà. Il relativismo estetico, cognitivo, morale o etico che sia, e che fonda il postmoderno, ha per Sokal «conseguenze enormi sulla cultura in generale e sul modo di pensare della gente»; non può dare vita a una conoscenza oggettiva del mondo, anzi conduce al nichilismo, alla deframmentazione della verità e all’annullamento della ragione, contribuendo alla deriva scientifica e ontologica.

[Pubblicato anche su Lindbrock.org rivista letteraria].

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