«Il salotto di casa Scremin era una specie di laboratorio dove si recavano ogni sera, per la descrizione e l’analisi, parole raccolte per le altre case e per le vie», così il modernista Fogazzaro (1842-1911) inscena un salotto mondano di fine Ottocento, nel romanzo Piccolo mondo moderno (1901). Qui, egli amministra narrativamente il conflitto fra il dovere e la tentazione, la vita spirituale e quella dei sensi, la vita familiare – e dunque il matrimonio tradizionale – e l’angolazione suggestiva e trasgressiva di una nuova forma di relazione che il protagonista, Piero Maironi, avendo ormai accantonato l’unione con la moglie ricoverata in una clinica per malattie mentali, vorrebbe avviare con l’ammaliante e seduttiva Jeanne Desalle, donna libera e cosmopolita. Tra aneliti sensuali e languide ritrosie, la relazione con Jeanne non approda ai lidi convulsamente desiderati, perché il piccolo mondo di provincia attua quella pressione morale e sociale che spinge il protagonista a scegliere una vita di apostolato, sacrificando così ogni pulsione e desiderio. Il fatto religioso è presente perché è «nell’istruzione religiosa il freno più idoneo a neutralizzare “l’antica ubbia femminile” dell’eguaglianza civile, che porterebbe alla distruzione della società»,1 come scrive tempo prima l’anticlericale Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873).

1Franca Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia: 1848-1892, Einaudi,Torino 1963, p. 26.

MODERNISMO E DISSOLUZIONE

La trasformazione collettiva dell’Io

L’antagonismo fra testa e cuore, ragione e sentimento, dovere e desiderio, ordine e disordine si innesta e si amplifica a partire dal mutamento, più o meno sotterraneo, della coscienza sociale, che il Modernismo, ormai in atto, organizza mediante operose e diversificate strategie. Di fatto, il Modernismo è un’imponente trasformazione collettiva. Nel suo saggio La crisi della coscienza Europea (1935), Paul Hazard (1878-1944)1 approfondisce gli strazianti mutamenti psicologici che conducono alle laceranti rotture e agli epocali ri-orientamenti dall’antico al moderno che saranno tipici nodi di questo periodo. È un attraversamento distruttivo, dovuto al diffondersi di un’eterodossia prevenuta e rutilante, una controtendenza preconcetta che diviene scontro con tutto ciò che richiama il passato, il piccolo mondo antico.

1Storico francese, letterato e appassionato studioso di storia delle idee. Nel saggio La crisi della coscienza Europea, dedicato all’Illuminismo, egli argomenta e descrive il passaggio dalla «società dei doveri» alla «società dei diritti», il cui snodo ideale e culturale sarebbe, secondo l’autore, il periodo tra l’Editto di Natens (1685) e la morte di Luigi XIV (1715).

LA FEDE SENZA “MISTERI”

Il dio progresso

Quando non lo rinnega del tutto, il Modernismo recupera e caldeggia l’idea di un cristianesimo senza misteri, per dirla alla John Toland (1670-1722), predicatore presbiteriano irlandese a cavallo fra il Seicento e il Settecento, il primo freethinker (libero pensatore) della storia.1 Il Modernismo, quindi, si manifesta e s’insinua ovunque articolandosi spesso in forme subvocali e sotterranee e conduce, quasi sempre, a una scissione – o dissociazione – dal passato, annodando temi e congetture intrise di un nuovo spirito interpretativo e concretizzando, tra le altre cose, l’auspicio «che i vizi privati possano creare virtù pubbliche, fino al progetto di fare della città degli uomini il luogo della felicità sulla terra attraverso i meccanismi della scienza e l’espansione ormai definitiva del progresso».2

1Christianity not Mysterious: A Treatise shewing, that there is nothing in the Gospel contrary to Reason, nor above it: and that no Christian Doctrine can be properly called a Mystery fu pubblicato nel 1696; Toland curò anche studi su John Milton (1608-1674) che lo ispirò nel suo approccio anti-cattolico. 2Paul Hazard, La Crisi della coscienza europea, in Introduzione di Giuseppe Ricuperati, Utet, 2007, p. XIII.

LO SQUARCIO FEMMINISTA

Fondare una neo-civiltà

Il femminismo è qui; è dentro questo squarcio e produce, indice e predice modernismo e modernismi, soprattutto attraverso le sue dee, ovvero quelle pioniere più o meno note del movimento – e dei movimenti – le cui opere imprimono una spinta continua alla crisi della coscienza collettiva; coscienza che inizia letteralmente a dissolversi sotto i colpi del Modernismo stesso. Le attiviste femministe, specie in Europa, agiscono proprio nei salotti culturali descritti anche dal Fogazzaro, ove officiano, anche con ampio consenso maschile, quei riti culturali atti a condurre la società «nel Paradiso ma senza la caduta».1 Per farlo, devono anzitutto de-costruire le strutture considerate più chiaramente retaggio del prima, e, dunque, di una cultura maschilista ed etero-normata: il patriarcato. Alla Civitatis Dei del patriarca bianco, deve subentrare quella che Virginia Woolf definisce Società delle Estranee,2 in cui la donna nuova possa istruirsi e autodeterminarsi in una neo-civiltà ginecocratica in cui non siano più presenti il giogo della Patria, della famiglia e di Dio.3

1L’espressione è di Philippe Muray in L’empire du bien, 1991. 2Cfr. Virginia Woolf, Le tre ghinee, 1938. 3Grande seguito, tra le critiche revisioniste al patriarcato, ha avuto Le donne prima del patriarcato, dell’attivista femminista ed ecologista Françoise D’Eaubonne. La tesi del saggio è che la società maschile, nella sua forma patriarcale, sia stata imposta con la forza, cancellando le primigenie forme sociali femminili, in particolare il matriarcato. Per avvalorare la sua tesi, l’autrice revisiona e riscrive la storia dal punto di vista anche archeologico, antropologico e mitologico.

DEE MODERNISTE

Le madri della dissoluzione

Che il Modernismo sia un campo di battaglia femminista è testimoniato anche da opere di attiviste come Shari Benstock (1944-2015) che in Donne della Rive Gauche1 (1986) ripercorre le vicende biografiche di intellettuali che, tra il 1900 e il 1940, espatriano a Parigi per cercare «libertà espressiva, libertà di vita, libertà pubblica e privata» e le definisce «levatrici del Modernismo», volendo con ciò intendere che donne come Gertrude Stein, Natalie Clifford Barney, Sylvia Beach, Adrienne Monnier, Colette […] sono non solo adepte ma anche artefici del Modernismo, accanto a uomini quali Picasso, Eliot, Joyce, Pound, Auden. In particolare, spiega la Benstock, a rendere queste attiviste femministe promotrici attive del Modernismo sono le soirées letterarie che patrocinano, insieme alla loro operosità politica, alla loro attività economica, alla loro capacità di promuovere le opere moderniste nei salotti delle quali sono organizzatrici e di cui ognuna di loro è Domina. Il crogiolo femminista gira spesso intorno al problema del sesso e le dee moderniste sono sovente anche emancipazioniste in termini sessuali. Il lesbismo, in particolare, diventa fin da ora un argomento contro il maschio dominante. È il caso, per esempio, di Djuna Barnes (1892-1982), la quale «oltre a essere un genio letterario […] era lesbica. Lesbica come 13 delle 22 intellettuali intorno alle quali si era coagulata a Parigi una comunità numerosa ed eterogenea. Nei loro salotti si incontravano artisti ed esponenti dell’haut-monde e del demi-monde; la scrittrice, ballerina e cortigiana Liane de Pougy iniziò addirittura una relazione sentimentale con la stessa Barney, raccontata in Idylle saphique del 1901».2

1Riva sinistra”, ovvero la porzione di Parigi situata sulla riva sinistra della Senna e qui è inteso nella sua accezione di quartiere intellettuale, artistico e bohémien. Shari Benstock, Donne della Rive Gauche. Parigi 1900-1940, Somara Edizioni, 2021. 2Lucia Tempestini, Natalie Barney e le altre, il lato rimosso del Modernismo. ‘Donne della rive gauche’ di Shari Benstock, su Articolo21 blog, 29 Giugno 2021, all’indirizzo https://www.articolo21.org/2021/06/natalie-barney-e-le-altre-il-lato-rimosso-del-modernismo-donne-della-rive-gauche-di-shari-benstock-somaraedizioni/, consultato il 9 dicembre 2021.

CONTRO IL PATRIARCA

Distruggere il “regime” etero-patriarcale

Pioniera del lesbismo è senza dubbio Anne Lister (1791-1840), ricca possidente inglese, appassionata di diaristica e autrice di diversi scritti, che fa dell’apoteosi sessuale egoica una ragione di vita e di autodeterminazione. Nella visione della Lister, il «regime eterosessuale penalizza le donne espropriandole del nome e del patrimonio», la soluzione è quella di tagliare con l’antico e affrancarsi incoraggiando il «desiderio lesbico» per poter salvaguardare il proprio patrimonio e tutte le libertà naturali e non soggette alla legge di Dio o degli uomini, che sono retaggio patriarcale. Ricreare il mondo per ricreare la donna è una delle chiavi di lettura del modernismo femminista, riplasmare la donna secondo canoni nuovi, proprio come fa l’arte che è, a un tempo, abiura, destituzione e dissoluzione del vecchio per poter plasmare una realtà nuova e sempre più eradicata dal passato.1 Il tormento erotico del lesbismo femminista diventa una strada da percorrere per liberare la donna dalla presenza maschile, ed è tema che permea la produzione letteraria e artistica, ma anche l’opera sociale e politica delle personalità femminili dell’epoca che, come detto, fonda sul rifiuto per il passato la propria ricodifica della realtà, almeno quanto sul «diritto di pluralità del significato artistico e letterario» il proprio nomadismo etico e morale.2 L’arrogante appello alla soggettività diventa legge e il fabbisogno naturale di essere a prescindere da qualunque elemento esterno, considerato normante, diventa culto dell’eterno sacro femminino.3

1Angela Steidele, Nessuna mi ha mai detto di no. Anne Lister e i suoi diari segreti, Somara! Edizioni, Ferrara 2021, edizione digitale. 2Hans Sedlmayr, La rivoluzione dell’arte moderna, Garzanti, Milano 1958, pp. 38-39. 3“Eterno femminino” è definizione coniata da Wolfgang Goethe: «Tutto ciò che passa non è che un simbolo, l’imperfetto qui si completa, l’ineffabile è qui realtà, l’eterno femminino (Ewigweibliche) ci attira in alto accanto a sé» (Faust e Urfaust, a c. di Giovanni Vittorio Amoretti, Feltrinelli, Milano 1980, pag. 667).

TEOSOFIA E FEMMINISMO

Storia di una lunga amicizia

Ma il femminismo modernista si intreccia anche con la teosofia e lo spiritismo, non a caso la prima Associazione Teosofica italiana viene fondata a Roma, il 22 febbraio 1897, da Anne Catherine Lloyd (1846-1903), una femminista; ed è la teosofa Isabel Cooper-Oakley (1854-1914) ad aiutare il fiorire di logge in altre città italiane, tra cui il particolare caso della loggia di Livorno, composta interamente da ebrei. Tra l’altro, a questi salotti intrisi di femminismo e teosofia partecipa anche Maria Montessori (1870-1952).1 Sono nobili figlie di ricchi borghesi, come Anna Maria Mozzoni (1837-1920), a portare avanti una lotta serrata contro il conservazionismo di matrice patriarcale. Il padre, Giuseppe Mozzoni, è fisico e matematico, ideatore della «nuova scienza sintetica» e spiritista per passione, e fa del «rifiuto dell’esperienza paterna» un sacrificio in nome della «ragione».2 Tra una tesi scientifica e l’altra, l’uomo coinvolge la figlia adolescente nelle sue sedute spiritiche, iniziandola, poi, alla Teosofia. Col tempo, l’attivismo della Mozzoni vira verso un vero e proprio rifiuto di quella che definisce «l’origine divina dell’autorità», della quale è necessario liberarsi perché la donna – l’esclusa per ragioni divine dalla società maschilista – possa emanciparsi: «i difensori aperti e coerenti dell’antico ordine nella condizione femminile sono i clericali legati agli interessi del passato, gli stessi che boicottano la liberazione della metà femminile dell’umanità».3 Lo spirito moderno al femminile deve, dunque, giungere a una nuova religiosità in cui il «culto alla divinità» non sia più prettamente cristiano – e quindi maschile – bensì essenziale «ragione suprema del tutto» andando oltre qualunque distinguo confessionale e sessuale.4

1È probabilmente a partire dal 1890 che si organizzano i primi circoli teosofici non ancora organizzati (o ufficiali) a Milano. Cfr. Massimo Introvigne – PierLuigi Zoccatelli (sotto la direzione di), Le religioni in Italia, La Società Teosofica, all’indirizzo https://cesnur.com/gruppi-teosofici-e-post-teosofici/la-societa-teosofica/, consultato il 9 dicembre 2021. 2F. P. Bortolotti, op. cit., p.49. 3Ivi, p. 54 4Ibidem.

LA HERSTORY

Cancel culture ante litteram

Laddove, inoltre, il Modernismo si avvale dell’arte per esporre lo spirito del nuovo sciolto dai presunti pregiudizi della tradizione,1 l’approccio femminista in ambito estetico mette in atto «una serie di strategie volte a smascherare le ideologie e le relazioni di potere su cui si fonda la storia dell’arte tradizionale» che è, ovviamente, patriarcale e quindi volta a ridurre la donna a oggetto di desiderio impedendole di essere «soggetto desiderante».2 La history dell’arte maschile, fondata su canoni tradizionali, diventa la herstory dell’arte femminile, per riprendere i termini di neolingua femminista introdotti dall’attivista Linda Nochlin (1931-2017) negli anni Settanta.3

1Celebri furono le esposizioni del mercante d’arte Ambroise Vollard (1866-1939), con dipinti di Cézanne, Maillol, Picasso, Gauguin, Van Gogh, Chagal, venduti a ricchi europei e americani appassionati di arte moderna. 2Federica Timeto, L’arte al femminile Percorsi e strategie del femminismo nelle arti visive, Studi Culturali, Anno II, n. 1, giugno 2005, versione digitale, p. 1. 3Linda Nochlin, Why Have There Been No Great Women Artists, «ARTNews», 1972.

CANCELLARE IL MASCHILE

Annullare il femminile

Le dee femministe sono madri di un modernismo nel quale gemma la questione di genere, che oggi individua nei sessi maschile e femminile non più realtà naturali e immutabili ma ruoli culturali prodotti e imposti dalla tradizione patriarcale. Del resto, in Zur Kritik der Weiblichkeit (1905) e in Ascesi ed erotismo (1933), unica sua opera ad oggi tradotta in italiano, la femminista austriaca Rosa Mayreder (1858-1938) interpreta già il maschile e il femminile sradicandoli dal passato per annullare le differenze sessuali, fabbricate dalla dominanza della civilizzazione maschile-patriarcale e sublimate dal simbolo del dominio maschile, il matrimonio tradizionale e religioso, che per le femministe moderniste radicali diviene, inevitabilmente, l’istituzione da abolire.

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