Delitto o castigo?
La domanda è di quelle scritte in cielo, ben visibile a tutti: il rapporto tra scrittori e pubblico si è davvero spostato dal piano del contenuto dell’opera a quello dell’immagine del suo autore? La risposta è scritta in terra, altrettanto ben nota: gli autori attuali (per quanto super venduti e iper premiati) non sono equiparabili con quelli del passato, per cui forse puntare sull’immagine non è una scelta, ma l’unica possibilità. Ben inteso, molti sono libri leggibili, piacevoli, intriganti, un buon intrattenimento, prodotti di successo, ma che sono comunque «un’altra cosa» rispetto al passato (non tanto lontano in fondo).
Lettere non italiane
Il critico letterario Giorgio Ficara ha scritto il pamphlet Lettere non italiane (Bompiani), con il quale ci informa che i veri libri in circolazione sono ormai molto pochi. Ci spiega che il divario con la letteratura è ormai quasi incolmabile, per stile, lingua, coscienza e capacità di scrittura. Ma forse sono semplicemente cambiati i tempi? No risponde Ficara: «Senza la coscienza di questa discontinuità tra i maestri di ieri e i giovani scrittori italiani, ci si convince che la letteratura è sempre stata quella dei Baricco o degli Ammaniti, e che la Mazzantini si può mettere sullo stesso piano di Charlotte Brontë. Invece non è vero».
La bella letteratura e la brutta scrittura hanno sempre convissuto, ma «Oggi la lingua dell’informazione prevale su quella letteraria. Peggio: la lingua dell’informazione, confondendo il lettore, viene trasferita nella letteratura come se fosse essa stessa una lingua letteraria. Invece la lingua letteraria italiana è emarginata, quasi sparita… Gli autori oggi scrivono in un altro italiano, più simile alla traduzione da un succinto inglese che da quella lingua altrettanto perfetta quanto immensa di cui parlava Leopardi. I romanzi che vanno in classifica sono scritti in una non-lingua, omologata, piatta, una lingua che guarda soprattutto ai b-movies americani. Infatti io parlo di b-literature… Insomma se Gadda quando scrive La cognizione del dolore guarda ancora a Manzoni, pur non essendo Manzoni, un Paolo Giordano quando scrive i suoi romanzi non guarda né a Tozzi, né a Pratolini, ma neanche a Quarantotti Gambini… Semmai guarda, come tutta la sua generazione, al mondo dell’informazione, alla cinematografia americana, al linguaggio della TV, che ha una sua importanza, senza dubbio. Ma la letteratura, che esige un contatto elettrico con il linguaggio, sta altrove. Ma il lettore, che poi naturalmente legge quello che vuole, da tempo non distingue più un Biamonti o un Meneghello da un Malvaldi o un Camilleri». E c’è una bella differenza.
Personal brander o intellettuali?
Ci tocca ipotizzare (sebbene con un discreto margine di certezza) che oggi lo scopo della letteratura (del romanzo) sembrerebbe non essere più quello di elaborare strumenti critici, creare un dibattito, innalzare il livello culturale, ma solo raccontare storie, non importa in che modo, con che lingua, con quali intenzioni, e perché. Forse il contenuto non conta più proprio perché ai tempi di Instagram e Facebook si punta tutto sull’immagine, la letteratura non è più “impegno culturale, valore aggiunto, integrazione al contesto culturale generale”, oggi bisogna vendere quindi bisogna piacere, apparire, essere cool. Il cambiamento è reale, oggi gli scrittori si affollano sui social, per esserci, per farsi trovare, per mostrarsi, per dire “Io esisto” ieri gli scrittori, oltre ai propri libri, firmavano recensioni brillanti su altri autori, articoli di critica letteraria o teatrale o sociale. Fra intellettuali e personal brander, insomma, sembrerebbe esserci una bella differenza.
Resta il dubbio, quello sollevato all’inizio: e se gli scrittori di oggi non avessero scelta?
Una volta pochi facevano arte e l’arte era per pochi. Poi la platea si è allargata e tanti hanno iniziato a godere dell’arte dei sempre pochi. Altro giro di boa ed ecco che anche gli artisti sono diventati tanti, mentre la platea si allargava sempre di più.
Oggi siamo al punto del tutti per tutti. Tutti fotografano, cantano, scrivono, fanno arte e lo strombazzano ai quattro venti nel tentativo di diventare famosi (anch’io).
Affollamento, appiattimento, banalizzazione: il passo successivo non può essere che quello di tutti per nessuno.
C’è tanta buona “arte” anche oggi, ma nel rumore di tanta offerta, spesso scarsa, si fa fatica a trovarla. Hai ragione cara Barbara, però aggiungo che tu scrivi molto bene ed è sempre un piacere leggerti.