Ripropongo qui l’intervista ad Alain de Benoist apparsa su Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne il 9 febbraio 2022, come spunto riflessione, pur non considerandola abbracciabile in ogni sua parte, ma certamente da leggere per riflettere.

L’ECLISSE DEL SACRO – RIFLESSIONI DI ALAIN DE BENOIST

Drieu La Rochelle, in Addio a Gonzague, scriveva che «il pagano e il cristiano hanno un’antica credenza, credono nella realtà del mondo». Indubbiamente è da questa razza, quella degli uomini di un’Europa virile ma sempre aperta alla buona disputatio, da cui provengono i nostri due protagonisti, i filosofi Alain de Benoist e Thomas Molnar, coinvolti in un duello attorno «all’eclissi del sacro», per usare il titolo del loro libro, che le edizioni Nouvelle Librairie hanno appena ripubblicato. Questi due spadaccini ci offrono un focus molto salutare su una delle questioni più cruciali del nostro tempo: la desacralizzazione. Se le convergenze, in particolare sulla tecnica o sul feticismo economico, possono talvolta unire i nostri due interlocutori; fratture – insuperabili? – appaiono subito sul tema dell’opposizione cristianesimo-paganesimo, trascendenza-immanenza. Ci rallegriamo, però, che questo «litigio» che, seppur aspro e sostenuto, conserva una gradita cortesia evitando di cadere nella rissa, tanto diffusa in questi giorni. Questi due maestri, è questo il termine giusto, ci afferrano per la collottola con i loro pensieri robusti e fragorosi. E noi vogliamo di più! Qui non c’è tregua, le interviste sono colpi sugli scudi e ciascuno dei nostri due opliti filosofi, come Ulisse e Achille, usa le sue migliori armi intellettuali come risposta. Torniamo a un testo che dovrà essere considerato, e questo è certo, come una pietra bianca. Di quelle che delimitavano, già ai tempi di Roma, il «pomerium» – dove il confine sacro segnava la differenza tra la città e il territorio circostante.

ÉLEMENTS: Nella tua prefazione, ricordi che Thomas Molnar aveva «provato la gioia» di tornare nella sua vera patria, l’Ungheria. La patria intesa nel suo senso di terra dei padri, quella da dove gli uomini traggono la loro forza, come il titano Anteo di cui parli. Può dirci di più su questo legame, che le sembra essenziale per l’uomo, tra l’attaccamento terreno in seno a una comunità e il sacro?

Il luogo è un legame, è risaputo. E questo legame è tanto più forte quando il luogo rimanda a un paesaggio familiare o alla terra natia. Questo è ciò che intendevo quando ho menzionato il ritorno in Ungheria del mio amico Thomas Molnar dopo diversi decenni di «esilio» negli Stati Uniti d’America. La civiltà occidentale è d’altronde una civiltà dello spazio più che una civiltà del tempo: è così vero che si parla di «spaziotempo»! Ma è anche una civiltà in cui vedere è più importante che ascoltare. La parola greca per «idolo» è eidolon, che significa esattamente «ciò che si dà per essere visto». Carl Schmitt, infine, ha mostrato chiaramente che l’uomo è soprattutto un terrestre. Per questo il nostro pianeta si chiama Terra, e non Mare, anche se i mari e gli oceani occupano gran parte della sua superficie.

ÉLEMENTS: In molte occasioni fustiga i diritti umani, il mito del progresso, la dottrina dell’unità dell’umanità, il controllo tecnico o anche la scelta dell’uguaglianza come bussola della giustizia. Ora, questo processo, secondo lei motore della modernità, lo fa risalire direttamente alle origini del cristianesimo. Perché?

Tema vasto, che affronto in dettaglio ne L’eclissi del sacro. Ma proviamo ad andare all’essenziale rischiando di apparire sommari. La dottrina dell’unità dell’umanità è implicita nel monoteismo: se c’è un solo Dio, e tutti gli uomini sono chiamati ad adorarlo, allora essi devono formare una sola famiglia numerosa e devono essere tutti uguali agli occhi di Dio. Il popolo di Dio, in altre parole, non conosce confini. Così dice San Paolo in un noto passo dell’Epistola ai Galati: «Non c’è più né ebreo né greco, non c’è più né schiavo né uomo libero, non c’è più né maschio né femmina, perché tutti voi siete un tutt’uno in Gesù Cristo» (Gal 3,28). L’ideologia dei diritti umani deriva dalla sostituzione del diritto naturale moderno al diritto naturale degli Antichi, che era totalmente diverso. Quest’ultimo era esterno agli individui e mirava a stabilire oggettivamente un rapporto di equità basato sulla chiara percezione di ciò che dovrebbe spettare a ciascuno. Il primo si basa sull’idea che gli individui detengono diritti soggettivi, inerenti alla loro natura, per il solo fatto di essere uomini i quali hanno tutti la stessa dignità fin dall’inizio. L’ideologia del progresso è una semplice secolarizzazione della concezione biblica della storia, che la concepisce in modo lineare, vettoriale, con un inizio assoluto (il Giardino dell’Eden) e una fine assoluta (la Parusia). È una storia diretta in una direzione necessaria, dotata di significato e che riguarda tutta l’umanità. Ne troviamo già i rudimenti in Sant’Agostino. Infine, il controllo tecnico è la naturale conseguenza della desacralizzazione del mondo, del suo «disincanto» (Entzauberung), come diceva Max Weber, che ha portato a considerare il mondo come un semplice oggetto di fronte al quale l’uomo sarebbe il soggetto. La desacralizzazione consiste nello svuotare il mondo della sua dimensione sacra: non esistono più luoghi sacri, sorgenti sacre, foreste sacre, ecc. Ora c’è solo il «santo»: il Santo dei Santi, il Santo Padre, la storia santa, la Città Santa… Il santo è una nozione morale, il sacro no. A causa del fatto che il mondo è stato svuotato della sua dimensione sacra, l’uomo se ne è potuto proclamare proprietario e padrone sovrano. La tecnica moderna prosegue questo processo e lo completa: la «macchinazione» (Machenschaft) consente la generale sottomissione del mondo al principio del calcolo e al principio della ragione (Gestell). Come dice Heidegger, la tecnica è in definitiva solo metafisica realizzata.

ÉLEMENTS: Una cosa ci colpisce anche leggendo questo libro, è la preoccupazione comune di voi due per le sorti del «Terzo Mondo». Possibile terreno fertile per il ritorno a una tradizione perduta per le nostre terre «fredde» nei rapporti umani e «saccheggiate» dal prometeismo tecnico, il «Terzo Mondo» potrebbe essere un elettroshock capace di resuscitare un corpo – in questo caso il corpo occidentale – inanimato. Quali sono le vostre posizioni, ad oggi, rispetto questi rapporti? Crede che sia necessario che gli Europei guardino all’esterno per riaccendere la fiamma del sacro?

Non credo di aver mai scritto che il Terzo Mondo potrebbe «ravvivare il corpo occidentale»! Volevo semplicemente ricordare che tutte le società erano prima società tradizionali. La nostra ha quasi cessato di esserlo alla fine del lungo processo di instaurazione della modernità. Nel Terzo Mondo, invece, esistono ancora società che hanno conservato molte caratteristiche tradizionali, in particolare riguardo le relazioni sociali. Possiamo vederlo chiaramente quando diamo una veloce occhiata al Medio Oriente. Certo, non bisogna idealizzarle, perché anche queste sono società che oggi si confrontano con una modernità che tanto seduce quanto spinge a opporvisi. Resta che questa permanenza è una buona cosa. Mostra che le società esistenti oggi nel mondo sono solo in apparenza «contemporanee». Possiamo avere nemici nel Terzo Mondo, ma il Terzo Mondo in quanto tale non è un nemico. Detto questo, ammetto naturalmente che queste considerazioni sono di particolare interesse per gli etnografi, e che non è guardando all’esterno che gli europei potranno «riaccendere la fiamma del sacro». Resta il fatto che molte società extraeuropee testimoniano in qualche modo ciò che siamo stati.

ÉLEMENTS: L’osservazione del cataclisma che la società industriale rappresenta per le comunità umane è qualcosa che condividete sia tu che Molnar. Per lei, questa critica assume una dimensione heideggeriana come se avesse deciso di «camminare sulle orme», come diceva Paul Celan, del filosofo tedesco. Considera Heidegger la via d’uscita salutare per una filosofia nietzscheana ormai incapace di cogliere la nostra epoca nella sua totalità?

Avevo cominciato a leggere seriamente Heidegger quando scrissi L’eclissi del sacro, cosa che non era successa quando scrissi Come si può essere pagani? Penso infatti che Heidegger sia molto più importante di Nietzsche – il che ovviamente non significa che non dovremmo frequentare il pensiero di quest’ultimo! Ma Heidegger va oltre. La spiegazione che dà di tutta la storia del pensiero occidentale, la distinzione decisiva che stabilisce tra ontologia e metafisica, Essere e divenire, è ai miei occhi senza equivalenti, e ci premette di comprendere ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi.

ÉLEMENTS: In questo testo afferma che «gli dei futuri non sono ancora nati». A fronte di questa assenza, una terza soluzione sembra prendere forma nei vostri pensieri. Mi spiego meglio. Louis Jouvet, durante una tournée in Sud America, spiegò che era stato l’incontro con un giovane che gli aveva permesso di trovare la sua definizione di teatro. Infatti, pur non capendo una parola di francese, il giovane affermava di venire a tutte le esibizioni della troupe. Di fronte a questa stranezza, Jouvet gli chiese il motivo di questa ostinazione. A questa domanda il giovane rispose che ogni domenica andava a messa per «sentire» anche se non capiva una sola parola di latino. Questa nozione di «sentire» divenne il punto di svolta che permise a Jouvet di cogliere l’essenza della sua arte. Per lei non c’è alcun desiderio di aspettare una rivelazione o una conferma esterna. E ancor meno quella di costruire una nuova Chiesa o di emanare un nuovo dogma. Contrariamente a queste due soluzioni, sembra piuttosto postulare questa soluzione di sensazione, o addirittura di percezione, che l’uomo potrebbe trovare grazie alla sua comunione all’interno di un popolo radicato, di una terra abitata, di riti ricevuti dai propri avi e di un senso di meraviglia di fronte al mistero dell’Essere. Per quanto riguarda il caso dei futuri popoli europei, sarebbe questa la via che preferirebbe per una rigenerazione del sacro?

L’idea che «gli antichi dei sono morti mentre gli dei futuri non sono ancora nati» si trova in Ernst Jünger, secondo il quale viviamo oggi sotto il dominio dei Titani. Conoscete anche l’enigmatica affermazione di Heidegger secondo cui «solo un dio può salvarci». Viviamo oggi in un tempo di transizione – un «intermezzo» – in cui la scomparsa del sacro è particolarmente evidente. Come rimediare? Purtroppo non esiste una ricetta già pronta! Il problema principale è che non dipende solo da noi. La volontà ha i suoi limiti, soprattutto in questo campo, e non basta costruire un tempio per vedervi insediarsi gli dei. Non dimentichiamo neppure che il sacro implica una città, cioè una dimensione collettiva. Nell’immediato, tutto mi sembra una questione di disposizione dello spirito e di un lavoro su sé stessi. L’opposto del sacro è il profano. Viviamo in un mondo totalmente profano (e profanato). Come vivevano gli Antichi in un mondo dove esisteva ancora il sacro? Cos’avevano che abbiamo perso? Come si manifesta l’appetito per il sacro, l’apertura al sacro, la disponibilità al sacro? Rispondere seriamente a queste domande richiede necessariamente tempo. Altrimenti ricadiamo nella spettacolarizzazione o nel simulacro.

Intervista a cura di Rodolphe Cart

(Traduzione a cura di Manuel Zanarini)

Foto: Alain de Benoist

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