La storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica.

[Gaetano Mosca]

Gaetano Mosca, professore di diritto costituzionale, cercò avviare, in Italia, la Scienza Politica. Nel saggio Elementi di Scienza Politica (1923) spiegò il rapporto fra la classe dei governanti e quella dei governati; la prima «che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti», fautrice dell’elitismo; mentre «la seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla vitalità dell’organismo politico sono necessari» (Mosca, p. 91). In poche parole, l’Élite al potere si organizza in modo da mantenere il più possibile la propria posizione, allo scopo di tutelare i propri interessi, utilizzando le risorse pubbliche disponibili. Nella visione del giurista, dunque, democrazia e parlamentarismo sono mere rappresentazioni politiche volte a legittimare un potere che in realtà è sempre in mano a pochi, dunque oligarchico. Per rendere operativo questo «elitismo oligarchico» chi governa deve necessariamente convincere che esso non esista e che, invece, viga una democrazia.

L’ELITISMO OLIGARCHICO E LE STAGIONI DELLA PAURA

Come possono le Élite preservare il potere?
Per esempio, con strategie atte ad alimentare la paura. La paura può non essere legata a una circostanza endogena, può non essere la risposta naturale a un evento inatteso e minaccioso che si verifica senza possibilità di controllo, ma una reazione voluta, ricercata: «La paura estrema, che è poi il terrore, può essere in sostanza indotta, “fabbricata”, sperimentata, come in laboratorio» (Benigno, p. 55). Ovviamente la paura ha quasi sempre bisogno di un “nemico” che eserciti la pressione necessaria a far sì che il timore indeterminato si concretizzi in qualcosa di reale. La paura indotta è oggi al centro del dibattito scientifico dell’ingegneria sociale. Essa ha una sua indefinitezza, ovvero risulta spesso vaga, poco più che la percezione di un pericolo, ma si amplifica e cresce nella narrazione dei media, compresi social e produzione cinematografico-letteraria. Tornando al concetto di nemico, e restando in tempi relativamente recenti, dopo l’11 settembre si è fatta strada la tendenza a reificare «il portatore di terrore, il terrorista; e perciò a stabilire univocamente, e per così dire una volta per sempre, chi sia un terrorista» (Ibidem, 56). Il terrorist profiling ha cercato, in realtà fin dagli anni Settanta, di individuare il terrorista tipo, come si fa con i criminali seriali, per poi passare alla ricerca di quei “tratti umani” riconducibili agli estremisti, ai fanatici, a coloro che reagiscono negativamente alla strategia preventiva, intimamente legata alla strategia della paura politica, perché preda di una sorta di furore irrazionale, perché complottisti, perché anti-scientifici, e via dicendo. Il “nemico” per eccellenza è, dunque, l’individuo dominato dall’irrazionalità e dall’odio, inabile al controllo razionale delle proprie reazioni – e decisioni – e quindi estraneo, in virtù di questo quadro clinico, al gruppo sociale normale, normato e civile.

LASSWELL: IL MENTORE DELLA PROPAGANDA

Harold Lasswell

Nel 1927, Harold Lasswell (1902-1978), influente sociologo della cosiddetta Scuola di Chicago, gineceo di sociologi eco-evoluzionisti, e teorico dei media, propose un’analisi programmatica della propaganda di guerra, nella quale incastonava la fondamentale importanza della “costruzione del nemico” allo scopo di sollecitare l’odio collettivo e superare «le resistenze psicologiche alla guerra nelle nazioni moderne» le quali resistenze «sono così grandi che ogni conflitto armato deve essere presentato come una guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e assassino. Non ci deve essere ambiguità su chi odiare» (Lasswell, p. 47). Lasswell interpretò un’opinione molto diffusa, secondo la quale la propaganda sarebbe stato uno strumento indispensabile nelle democrazie moderne perché avrebbe consentito di strutturare, e organizzare, il consenso delle masse.
La propaganda è un motore politico anche oggi, sempre più svincolato dalle radici storiche, etiche e morali, ragion per cui essa è moralmente neutra, oppure ammantata di una moralità fluida, nomade e post modernista; indeterminatezza e relativismo che consentono di utilizzare i suoi aspetti più tecnici, sorvolando responsabilità etiche troppo pressanti o controproducenti, per raggiungere determinati obiettivi (non solo politici).

IL DOSAGGIO DEMOCRATICO

Trattamenti sanitari in India a cura della Fondazione Rockefeller

In una simile architettura, i diritti dell’individuo vengono subordinati a quelli della collettività, poiché questa è plasmabile dalla propaganda stessa. Nella voce «Propaganda», redatta per l’Enciclopedia delle Scienze Sociali nel 1933, sempre Lasswell arrivò a ridimensionate il concetto stesso di democrazia, affermando che: «Non dobbiamo soccombere a dogmatismi democratici del tipo che gli uomini sono migliori giudici dei propri interessi» e in tal senso la vera democrazia «obbliga a sviluppare un insieme di tecniche di controllo, soprattutto attraverso la propaganda […] mezzo di mobilitazione di massa più conveniente della violenza, della corruzione o di altre possibili tecniche di controllo». Insomma, il discorso lasswelliano è prefigurazione e prodromo teorico, quanto mai robusto, di quel paternalismo liberale fondato sulle “spinte gentili” (nudge) per indurre la gente comune a operare delle scelte che normalmente non farebbe. La massa va controllata, va guidata, va indirizzata.
Del resto, alle teorie di Lasswell fece eco Walter J. Shepard (1876-1936), presidente dell’American Political Science Association, che, nel 1934, affermò che il governo di uno Stato doveva essere affidato ad Èlite di intelletto e potere, evitando di dare spazio di autodeterminazione a tutti quegli elementi ignoranti, anticonfomisti e antisociali perché in opposizione alla saggia guida delle Èlite stesse; Shepard arrivò a suggerire un «saggio controllo» dell’esito delle elezioni politiche, onde evitare l’espressione di una volontà popolare anti governativa, e dunque contraria al presunto benessere collettivo, che poi finiva per coincidere con l’interesse delle Èlite.

DOCUMENT ON TERROR

La politica della paura rientra nella propaganda, così come intesa dai suoi Padri. Come riferisce Benigno: «Un documento impressionante dell’elaborazione di un uso cosciente del terrore presso gli apparati statali e di sicurezza è un testo apparso nel 1952 su una rivista legata ai servizi segreti americani e chiamata News from the iron courtain. In questo Document on terror si sostiene che il terrore di massa va utilizzato per distruggere la parte più attiva di un nemico e per ridurlo ad uno stato di sottomissione, in tempi di guerra ma anche, implicitamente, in periodi di pace. Il terrore di massa, tuttavia, non è l’unico a disposizione. Esiste anche un’altra modalità di azione, chiamata nel testo enlightened terror e che si potrebbe tradurre come terrore di intelligence. In questo secondo caso il soggetto promotore dell’azione non si rivela, ma rimane nascosto, compiendo le proprie azioni volte a diffondere il terrore non a proprio nome ma in nome dell’avversario che si vuole colpire. Si tratta del principio del camuflage maneuver ovverosia del camuffamento. Il principio cui obbedisce il terrore di intelligence non è quello di attaccare direttamente i propri avversari ma di influenzare indirettamente l’opinione pubblica del paese che si vuole colpire in modo da farla diventare un involontario appoggio alle proprie posizioni. Per far ciò occorre costituire speciali unità capaci di agire sotto mentite spoglie, come se fossero organizzazioni nemiche, adottandone cioè l’ideologia, i simboli, i linguaggi».
L’uso politico della paura è un elemento di governo noto a storici e politologi, e le Èlite al potere vi fanno ricorso, in maniera sistematica, capillare e strutturata, per manipolare la massa e indurla a fare quel che normalmente non farebbe. Si tratta di alimentare la paura affinché il gruppo sociale bersaglio (in questo caso i cittadini) sentano il bisogno di protezione, al punto tale da rinunciare, se necessario, anche ai diritti fondamentali normalmente sanciti dalle Costituzioni. La strategia della paura funziona?

IL SOFT GLOBAL POWER

Klaus Schwab, fondatore del WEF, mostra con orgoglio il saggio sulla Quarta rivoluzione industriale, cui partecipa il potere elitario globalista che domina attualmente il mondo.

Un report del 2010, commissionato dalla Rockefeller Foundation, dal titolo Scenarios for the Future of Technology and International Development «disegna una timeline di eventi che partono dal 2012, anno in cui si ipotizza una pandemia da un ceppo di influenza, che – si dice – a differenza di quella H1N1 del 2009 questa volta sarà “estremamente virulenta ed efficace […] lo scenario o meglio gli scenari previsti (si tratta di quattro soluzioni possibili o varianti) si dipanano su una linea temporale quasi ventennale che parte dal 2012 e finisce nel 2030. La data di arrivo non è casuale: essa coincide con un punto di arrivo (o di controllo) in cui convergono vari programmi globali, ad esempio l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, e su tale data si concentrano non di rado le parole d’ordine di esperti (i quali sono soliti “lanciare l’allarme”), centri studi, media, e governi». Lo sviluppo post-pandemico caratterizzato da questo tipo di risposte è descritto dal documento con queste caratteristiche: «Un mondo con un controllo verticale e governativo molto serrato, leadership autoritaria, scarsa innovazione e regressione dei cittadini» (pag. 18).
È l’era del soft global power, il sogno antidemocratico delle élite teorizzato da sociologi ed esperti di propaganda, in cui i cittadini decidono di delegare volontariamente la loro sovranità individuale e la loro privacy a favore di Stati sempre più paternalisti, in cambio di maggiore sicurezza e stabilità.

Bibliografia

  • H. Lasswell, Propaganda Technique in the World War, Cambridge (MA), M.I.T. Press, 1971.
  • H. D. Lasswell, «Propaganda», in Encyclopedia of the Social Sciences, Macmillan, New York 1930-5, 1954 reprint, pp. 523 e passim.
  • Anonimo, Document on Terror, «News from the Iron Curtain», I, n. 3, 1953, pp. 44-57, poi ripubblicato: Ibidem, in D.C. Rapoport, Y. Alexander (eds.), The Morality of Terrorism. Religious and Secular Justifications, New York, Pergamon Press, 1982, pp. 186-206.
  • Nicola Bizzi, Matteo Martini, Operazione Corona: Colpo di stato globale: Analisi bio-medica, economica e politica della più grande truffa della storia dell’umanità, Edizioni Aurora Boreale, 2020.
  • Rockefeller Foundation, Scenarios for the Future of Technology and International Development, 2010.
  • Gaetano Mosca, Elementi di Scienza Politica, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1923.
  • Francesco Benigno, La paura estrema in politica: sui concetti di terrore e terrorismo, in Quaderno di storia penale e della giustizia, pp. 55-62, 2019, versione digitale.
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